stretta fiscale da 1 miliardo, Forza Italia protesta

La manovra 2026 porta con sé anche una stretta sulla tassazione dei dividendi incassati da società e imprenditori. Che indigna Forza Italia, reduce da una sconfitta sull’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi e costretta a fare buon viso a cattivo gioco di fronte ai contributi a carico delle banche confermati dal testo bollinato del ddl di Bilancio.
L’articolo 18 interviene su uno dei cardini della riforma dell’imposta sul reddito delle società approvata ne 2003 dal governo Berlusconi II, che per evitare la cosiddetta doppia imposizione sui profitti societari – cioè il fatto che gli utili venissero tassati prima a carico della società che li genera e poi di quella che li riceve come dividendo – consentiva di escludere dalla base imponibile il 95% dei dividendi incassati da un’altra società. La norma, che aveva recepito una direttiva europea estendendone i princìpi anche alle partecipazioni interne, resterà in vigore solo per chi detiene almeno il 10% del capitale della partecipata. Tutti gli altri, cioè chi ha quote inferiori, dovranno pagare le imposte sull’intero importo percepito. Tradotto: la tassazione effettiva passerà dall’1,2% al 24% circa.
La misura colpisce chi ha piccole partecipazioni tipiche di veicoli finanziari, holding leggere, fondi o asset manager, mentre chi detiene quote di controllo o almeno il 10% rimane nel regime favorevole. Stando alla relazione tecnica l’impatto sarà notevole: tenendo conto di Ires, Irpef e addizionali locali è atteso un maggior gettito di 983,2 milioni di euro nel 2026, che salgono a 1 miliardo l’anno dal 2027 in poi. Per stimare l’impatto, il modello utilizzato dal Ministero considera che circa il 6% dei dividendi esclusi dalla base imponibile riguarda partecipazioni inferiori al 10%.
Gli azzurri ostentano indignazione: Maurizio Casasco, responsabile del dipartimento Economia del partito, parla di “aumento abnorme della tassazione” e “doppia tassazione sugli utili con effetto negativo sugli investimenti e la competitività del nostro sistema imprenditoriale”. La nota continua predicando che “non si può confondere un regime – quello del dividend exemption introdotto con la riforma Ires del 2003 – volto a garantire la neutralità fiscale lungo le catene partecipative, come (sic) una agevolazione e intervenire per fare cassa. Si tratta di un grave arretramento rispetto ai principi di coerenza e stabilità del sistema tributario italiano, consolidati da oltre vent’anni”.
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