‘Sport quasi nuovo fra noi’ Quando la boxe giunse a Trieste
19.07.2025 – 07.01 – Oggigiorno sembra difficile associare sport & teatro: eppure, fino al secondo dopoguerra, i palchi dei più importanti teatri erano spesso appannaggio non solo di commedie e opere liriche, quanto di incontri sportivi, specie connessi alle arti marziali. Ciò era di solito appannaggio di teatri di recente formazione, considerati ‘nuovi’; e a Trieste si fregiava di questo titolo il Politeama Rossetti. Lo sport qui comparve per la prima volta in connessione coi circhi: prove di forza sovrumana, incontri di lotta selvaggia, ginnasti dalle temibili acrobazie aeree. Qualcosa di tutto ciò è rimasto; non è un caso che il Cirque du Soleil abbia lavorato, nel capoluogo giuliano, in stretta connessione col Rossetti. C’era già, a fine ottocento, una categoria che non accettava di essere associata ai circhi ed era la scherma: i duelli, accompagnati da interludi musicali, erano definite serate di ‘accademia’.
Tuttavia ciò che davvero, nell’ambito dello sport a teatro, attirava le folle era la lotta greco-romana: fino agli anni Trenta quest’arte marziale era la magnifica ossessione d’intere generazioni. I bambini, come coi calciatori odierni, avevano i ‘propri’ lottatori preferiti; gli uomini si accalcavano agi incontri di lotta tra i campioni internazionali; e infine le signore consideravano questi uomini tutt’altro che ‘scolpiti’, ma anzi dal fisico gibboso e robusto, irresistibili icone di virilità.
In questo contesto la boxe giunse a Trieste con lentezza; solo quando la lotta iniziò a perdere popolarità a favore della nuova fissazione italiana del calcio, il pugilato iniziò a farsi strada tra il pubblico triestino. E proprio al Politeama Rossetti trovò il suo primo anfiteatro, sebbene inserito all’interno di programmi di musica e danza.
Il primo incontro di boxe triestino al Politeama Rossetti si tenne il 22 giugno 1923; ne fornisce una cronaca accurata, sebbene venata della propaganda del periodo, il giornale Il Popolo di Trieste. Non si trattò di un incontro regolare, quanto di un’esibizione del pugile Erminio Spalla che, a trent’anni appena compiuti, era campione italiano (1920) ed europeo (1923) dei pesi medi. Infatti i pugili triestini a cui toccò l’ingrato compito di essere le vittime sacrificali di Spalla, rispettivamente Bruno Braida e Francesco Clerici, furono entrambi brutalizzati con due riprese a testa.
Il Popolo di Trieste descrisse Spalla come una “figura statuaria” che “appare realmente di un’armonia perfetta”. Il gioco, a confronto con gli incontri precedenti, fu infatti elegante e piacevole: “Swing tremendi che l’erculeo Braida gli manda, vengono evitati con brevi mosse sdegnose del capo […] Gli passano davanti alla faccia delle sventole il cui solo soffio farebbe impallidire un altro ed egli volta la testa un po’ in là od alza il mento e china appena il capo. È un lavoro da orologiaio il suo”.
Eppure “quando vede un lato scoperto dell’avversario allora è come un felino”. Ed è in questo contesto che Braida prima e Clerici dopo escono “come un baccalà dalle sue mani”. Spalla era all’epoca non solo un’icona, quanto un sex symbol: tra il pubblico c’erano infatti “non poche signore” che “avevano portato una nota gaia di colori nell’ambiente”.
La boxe tornò sul palco del Rossetti solo sette anni più tardi quando, il 15 marzo 1930, si tenne un incontro tra Leone Jacovacci e il fiumano Mario Dobrez, con in palio il titolo italiano dei medi. Nonostante fossero gli anni Trenta, la lotta greco-romana restava ancora popolare; tant’è che Il Piccolo scrisse che l’incontro “molto ha giovato per la propaganda dello sport pugilistico, quasi nuovo fra noi“.
Ma il Rossetti ebbe anche pugilatori d’eccezione, leggende viventi. Ci riferiamo a Primo Carnera, il gigante friulano di Sequals, il quale giunse al Rossetti nel suo periodo più nero: gennaio 1944. Trieste era la capitale nera del Litorale Adriatico, gli abitanti venivano obbligati a lavorare per la Todt o inquadrati in milizie anti partigiane e la stessa Risiera di San Sabba era ormai in funzione: intanto, sul palco del Rossetti, sfilava una grottesca ‘giostra d’arte‘, composta di ballerine mediocri e cantanti senza voce. Tra i numeri da baraccone c’è anche lui, Carnera: per la felicità dei pochi presenti si esibisce con un incontro di lotta libera. Il Piccolo scrisse, con tono diplomatico, che “la messa in scena non era adeguata all’importanza del teatro”. Con ogni probabilità Carnera fu l’unica felice eccezione dello spettacolo.