Sono passati cinque anni e allora? Diego Armando Maradona c’è e vive a Napoli
Da queste parti è un’altra dimensione. E chi ti ricorda che sono trascorsi cinque anni da quel maledetto 25 novembre, neppure ci pensi. Dettagli trascurabili, insignificanti. Del resto ‘o tiempo e che fa tutto cresce e se ne va. Allerìa, pe’ ‘nu mumento te vuò scurdà che hai bisogno d’alleria, ci racconta in una sua bellissima canzone Pino Daniele. È così. Nei quartieri, nelle strade, nelle piazze, nei vicoli lui c’è sempre. È Allerìa. Diego Armando Maradona non ha mai lasciato la sua amata Napoli. Questo i napoletani lo sanno e lo hanno sempre saputo. Non c’è angolo che non abbia un suo ritratto, una sua sagoma, un suo murale. Lui c’è sempre per tanti che s’inventano la vita come raccontò lo stesso numero 10 al microfono di Gianni Minà. Voce di popolo, voce di Dio.
Non è casuale se nel cuore dei Quartieri spagnoli con una colletta popolare fu finanziato nel 1990 e in assoluto il primo murale dedicato al ‘Pibe de Oro’, ritratto con la maglia numero 10 e lo sponsor Mars. L’artista Mario Filardi, scomparso proprio nei giorni in cui moriva Maradona, lo dipinse su una facciata di un palazzo in via de Deo, ormai meta di turisti e sportivi. Nel 2023, secondo le stime delle agenzie turistiche, è stato visitato da circa 6 milioni di persone, posizionandosi come il secondo sito più visitato in Italia dopo il Colosseo.
Mentre Filosa dedica la sua opera a Diego, il signor Bruno Alcidi, titolare del bar Nilo, situato a pochi metri da Duomo di Napoli in cui è custodito il miracoloso sangue di San Gennaro, patrono della città, raccoglieva dalla poltrona dell’aereo in cui era seduto il numero 10 azzurro, una ciocca dei suoi capelli ricci. Nacque un culto straordinariamente genuino: turisti e napoletani prima di inerpicarsi verso la strada dei presepi di San Gregorio Armeno facevano tappa davanti al Bar Nilo per ammirare la piccola edicola votiva eretta dal signor Bruno dove era custodita una reliquia considerata sacra: il capello originale di Diego Armando Maradona.
Il Bar Nilo in quegli anni fu collocato da Tripadvisor al 30esimo posto tra le 364 attrazioni più importanti da visitare in città. A Napoli più di altri luoghi del mondo avevamo capito che Diego Armando Maradona non era solo un calciatore. Era un leader, una creatura che emanava carisma, un’anima naufraga afflitta da sbandate, errori ma con rinascite continue e miracolose. Dentro di lui tante vite in contraddizioni tra loro.
Era febbraio del 1986 sono in sella al mio motorino ‘Si’, faceva freddo e con il mio amico e accanito tifoso azzurro Giuseppe Bosco all’ultima ora di lezione, la famigerata ‘settima’, scappiamo pur restando presenti, e ci fiondiamo al Campo Paradiso nel quartiere Soccavo dove si allenava la squadra del Napoli e il nostro idolo. Giungiamo in pochi minuti. Il tempo di legare il motorino al palo e ci troviamo catapultati in una bolgia. C’è una signora che urla, gente che spinge. Non capiamo nulla. Avevamo una maledetta fretta perché se il professore ci scopriva finiva male. Ci ritroviamo all’improvviso schiacciati lato guida della portiera di una Renault Gt turbo, rossa. Il mio amico è attaccato al mio fianco. Accade l’imponderabile.
Aperta la porta dell’auto, aveva i vetri dei finestrini oscurati, sbuca fuori Diego Armando Maradona che sale sul predellino e litiga con la donna colpevole – secondo il Pibe de Oro’ – di averlo offeso chiamandolo ‘argentino di merda‘. Restiamo immobili, scioccati. Ci siamo ritrovati praticamente il numero 10 (non ancora mito assoluto) addosso. Con Giuseppe lo calmiamo, gli diciamo di lasciar perdere. Una pacca sulla spalla. Lui si risistema, ci ringrazia e con un sorriso, si rimette alla guida e raggiunge il campo per l’allenamento. Per la cronaca: a scuola finì male. Rapporto disciplinare e nota in condotta. Pazzesco. Ricordi in bianco e nero.
Il Pibe de Oro c’è. Non è un ricordo. Ugo Di Fenza, geniale regista, autore, filmmaker si è inventato un trailer realizzato con l’IA in cui Gesù Cristo viene a Napoli per salvare la città dal mito di Maradona perché i napoletani sono colpevoli di venerare un Dio pagano. La generazione Z conosce proprio tutto di Maradona. Le immagini spopolano con reel e tik tok. L’algoritmo cattura filmati e inonda le piattaforme. I nuovi scugnizzi indossano magliette con il suo volto. Un Santo laico a cui in tanti a Napoli si rivolgono con preghiere, promesse e invocazioni. Parafrasando lo scrittore Giuseppe Marotta come per San Gennaro anche Diego Armando Maradona non dice mai no ai partenopei. Un fenomeno sociale.
La Facoltà di Scienze sociali di Buenos Aires, in questi giorni, ha organizzato un congresso internazionale dedicato proprio al Pibe de Oro. Una tre giorni con ricercatori, docenti, giornalisti, scrittori, intellettuali, amici, collaboratori e familiari di Maradona. Il mito di Diego a Napoli, in Italia e nel mondo è già da molto entrato in Accademia. Ne è prova il libro Maradona – Sociologia di un mito globale, Ipermedium libri. Allora dicevamo: sono trascorsi cinque anni e allora? Diego Armando Maradona c’è e vive a Napoli.
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