Cultura

Sofie Birch & Antonina Nowacka

Seconda collaborazione per la danese Sofie Birch e la polacca Antonina Nowacka, a distanza di tre anni dall’esordio a quattro mani di “Languoria”, Lp che era stato notato nella scena ambient per la sua poetica fragilità. “Hiraeth”, appena pubblicato, nasce sotto i migliori auspici raccogliendone l’eredità trasponendola su un piano prettamente acustico e rafforzandola attraverso una precisa strategia. L’etichetta Unsound ha infatti cercato di mettere le due musiciste nelle migliori condizioni possibili, organizzando un ritiro artistico a Sokołowsk, cittadina polacca immersa nella campagna, luogo evocativo tanto da essere stato fonte di ispirazione per la stesura  de “La montagna incantata” di Thomas Mann.

L’idea era di isolare le due da ogni contatto con gli schermi dei social, dei telefoni e tutti quegli elementi legati alla contemporaneità diventati un grande problema, una distrazione continua che rende ardua un’intima ricerca di sé. Nella casa immersa nella natura hanno trovato a disposizione cetre, arpe, chitarre classiche, minimoog, vibrafono, tastiere, percussioni, organo a canne, un armamentario ampio che entrambe utilizzano.
Assecondando le vibrazioni di uno spazio a dir poco incantevole, le due voci di Sofie e Antonina, combinate alle strutture strumentali, cesellano paesaggi vaporosi immersi in una spiritualità pagana. Un senso di trascendenza, di stasi temporale da giardino dell’Eden si irradia costante dalle movenze eteree cesellate, affidandosi soprattutto all’atto improvvisativo, volutamente catturato su nastro per non disperderne il calore dell’esecuzione.

La magia dell’istante, intersecata all’utilizzo delle registrazioni ambientali, definisce in modo nitido un rapporto profondo con la natura, inteso come base per ritrovare la propria essenza sciolta dai vincoli della frenesia quotidiana. In particolar modo, le risonanze delle corde e le modulazioni vocali prive di costrutto lessicale sottolineano tale orientamento del lavoro.
La breve “Rabbit’s Hole”, più che un’intro è una dichiarazione di intenti fin dal titolo, una soglia dalla quale accedere a un territorio aurale al tempo stesso tattile e intangibile, fatto di fraseggi compassati in dialogo con il canto degli uccelli (“Stars On The Ground”) e il rumore cristallino dell’acqua (“Hiraeth”).

È suono luminescente dallo sviluppo lussureggiante, ma capace di virare verso soluzioni più umbratili (“Comes With Sunrise”, “How About The Time?”) e costrutti ridotti all’essenziale (“Love Object”) senza perdere nulla del suo portato prepotentemente meditabondo. Un sogno lucido disegnato con un’immediatezza disarmante che rapisce per la sua grazia e l’assoluta mancanza di sovrastrutture ingombranti. Un trionfo del sentirsi vivi e in connessione con l’universo.

02/08/2025




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