Skincare naturale: arriva Ulé, il brand di cosmesi biotech che ha a cuore la pelle e l’ambiente
La skincare naturale riscuote sempre maggiore interesse da parte di un pubblico esigente, che si prende cura di sé ma è anche attento al benessere del Pianeta: così formule, packaging e origine degli ingredienti utilizzati sono messi sempre di più sotto la lente d’ingrandimento. Al tempo stesso, però, la percezione di molti è che gli ingredienti derivati dalle piante siano meno efficaci rispetto alle controparti di sintesi. A creare una linea beauty consapevole quanto performante ci ha pensato Lindsay Azpitarte, esperta di brand development e dal 2012 Marketing Director del gruppo Shiseido. L’interesse per la potenza degli estratti botanici e la variabilità dell’efficacia degli ingredienti l’hanno portata a ideare un marchio che mette d’accordo natura e scienza, dando vita a prodotti che funzionano ma sono anche sostenibili, dalla composizione al packaging.
Per realizzare la sua visione si è appoggiata proprio al Gruppo Shiseido per la sua vasta conoscenza in materia di ricerca e sviluppo e prestazioni dei prodotti. Ha presentato la sua idea al CEO del gigante della bellezza ottenendo immediatamente il via libera a trasformare la sua visione in realtà: così, ha riunito un team di esperti che nel 2022 ha finalmente permesso a Ulé di debuttare nei beauty store francesi. Ora, arriva finalmente anche qui da noi.
Come è nato Ulé?
«Ho lavorato per molti marchi prestigiosi, aiutandoli nel lancio e facendoli crescere. Mi sono resa conto, col tempo, che non esistevano prodotti biotech in grado di sfruttare appieno il potere della natura. Dopo aver proposto il progetto a Shiseido, ho iniziato a collaborare con esperti esterni e con lo European Innovation Center del gruppo a una linea di skincare naturale diversa dalle altre. Così è nata Ulé (dal greco antico hyle che indica la materia fondamentale di cui è fatta ogni cosa), un marchio pioniere dell’agricoltura alimentata dall’intelligenza artificiale, fondamentale per produrre ingredienti potenti quanto sostenibili. Ispirandomi ai miei studi in architettura urbana alla Columbia University e grazie al prezioso supporto di un etnobotanico ho scelto di coltivare alcune piante appoggiandomi a Tower Farm, che si occupa appunto di il vertical farming».
Come funziona Tower Farm e quali piante coltivate?
«Volevo incorporare nelle formule del brand ingredienti naturali, efficienti e di provenienza locale: grazie al supporto dell’etnobotanico Patrice André ho scoperto così l’agricoltura verticale ed è iniziata la collaborazione con Tower Farm, start-up certificata B-corp situata a 30 minuti da Parigi. Pratica un’agricoltura verticale avanzata e ci permette di produrre tre piante adattogene fondamentali: il tulsi, un potente antiossidante, la centella asiatica, che favorisce la sintesi del collagene, e il coleus forskohlii, antinfiammatorio. I vantaggi del vertical farming sono due. Prima di tutto consente di controllare il modo in cui la pianta deve crescere e in secondo luogo consente di utilizzare l’intera pianta (radici, foglie e steli) al massimo della sua freschezza in modo da conservarne tutti i benefici. Questo metodo di coltivazione garantisce anche l’approvvigionamento locale di piante esotiche, che non devono più viaggiare da una parte all’altra del mondo per essere inserite nella formula di un prodotto».
Per questo tipo di agricoltura si usa più o meno acqua rispetto a quella tradizionale?
«L’agricoltura verticale richiede relativamente poca acqua e libera terreni coltivabili per altre risorse, come le colture alimentari. L’acqua che non viene assorbita dalle piante torna nel serbatoio per essere filtrata, arricchita di sostanze nutritive e quindi pronta per essere riutilizzata. Questo sistema consente di riciclare il 95% dell’acqua utilizzata».
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