Siria, il premier prega dalla moschea
Prima il video diffuso via Telegram da Mohammed al-Jolani, il leader dei jihadisti che hanno spodestato Assad. Camicia bianca, gilet scuro, il capo dei ribelli armati che ora usa il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa, ha invitato i siriani a scendere in piazza per celebrare «la vittoria della rivoluzione», ma «senza sparare e spaventare la gente», anche perché «i proiettili costano». Più tardi, davanti a migliaia di persone in festa, tra bandiere e canti, il nuovo premier ad interim della Siria, Mohammed al-Bashir, ha pronunciato il sermone del venerdì nella celebre moschea degli Omayyadi a Damasco. Si tratta della prima preghiera dopo oltre 50 anni di regime e ha un significato speciale per gli islamici della Siria liberata dagli islamisti. Per l’occasione sono state adottate misure severe. Il minito: «La sicurezza pubblica tratterà con fermezza chiunque risulti coinvolto in sparatorie durante la celebrazione».
A Damasco si festeggia, mentre le grandi manovre sulla Siria sono cominciate, per assicurarsi influenza, combattere vecchi nemici o per scongirare una deriva di violenza. La flotta navale russa ha lasciato il porto siriano di Tartus e Mosca ha cominciato a evacuare le basi militari. Un momento storico. Anche se non è ancora un’uscita di scena definitiva. La Russia sta negoziando con le nuove autorità siriane per il mantenimento delle sue basi in Siria e per questo sta usando ancora una volta l’arma del grano come strumento di trattativa, o meglio di ricatto. A differenza di quanto avvenuto durante l’epoca Assad, quando Mosca aggirava le sanzioni occidentali per rifornire l’alleato, ora la Russia ha sospeso le forniture «a causa dell’incertezza sul nuovo governo e dei ritardi nei pagamenti», hanno riferito fonti russe e siriane alla Reuters. Ma è più probabile che lo abbia fatto per alzare la posta nei negoziati sul porto di Tartus, che assicura alla Russia il 60% di capacità di operare nel Mar Mediterraneo.
Anche gli Stati Uniti proseguono il lavoro diplomatico sul futuro della Siria. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, dopo aver incontrato ad Ankara il presidente turco Erdogan, a cui ha spiegato che è «imperativo» lavorare contro l’Isis, ha compiuto una visita a sorpresa in Irak, e ha spiegato al premier Al Sudani di essere al lavoro per «una transizione inclusiva» in Siria. A Erdogan farà visita il 17 dicembre anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Il leader turco ha spiegato a Blinken che la priorità è la lotta a tutte le organizzazioni terroristiche, che per Erdogan sono quelle curde: il Pkk, il partito curdo Pyd, l’Ypg e l’Isis. Ankara, tramite il ministro degli esteri Fidan, sostiene di aver convinto Iran e Russia a non intervenire militarmente in Siria. Nel Paese cresce tuttavia il timore di una deriva estremista. Hader, un villaggio druso del sud della Siria ha chiesto per questo di essere annesso a Israele, definendolo il «male minore».
Per discutere della crisi, il capo della diplomazia Usa parteciperà insieme alla «ministra degli esteri» dell’Ue, Kaja Kallas, a una riunione oggi in Giordania con i colleghi dei Paesi arabi.
L’Ue ha annunciato di essere in contatto con i nuovi padroni della Siria, i jihadisti di Hts, ma di non riconoscerli ancora. La Commissione ha lanciato un ponte aereo umanitario per la Siria e aumenterà i finanziamenti a oltre 160 milioni di euro.
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