“Siamo carabinieri dobbiamo perquisire la casa”, individuati i malviventi che sequestrarono e rapinarono una coppia
Era l’estate del 2012 quando una donna, all’epoca 54enne residente a Riccione, sentì bussare alla porta di casa e andò ad aprire trovandosi davanti due individui. “Siamo carabinieri – spiegarono gli sconosciuti. – Sua figlia è sospettata di spacciare droga e dobbiamo perquisire l’appartamento”. La signora, preoccupata dalla situazione, li fece entrare in casa e per lei iniziò un incubo. I malviventi, una volta all’interno, l’aggredirono imbavagliandola con una federa per poi legarla a una sedia utilizzando delle fascette da elettricista. I rapinatori quindi attesero il rientro del marito, all’epoca 65enne, e anche lui appena tornato a casa venne prima immobilizzato e legato con lo stesso metodo per poi essere incappucciato con una federa e preso a pugni sul volto.
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I due malviventi erano sicuri che, quel giorno, l’uomo sarebbe dovuto tornare a casa con una ingente somma di denaro, circa 50mila euro, ma quando lo avevano perquisito nelle sue tasche avevano trovato solo 600 euro e il libretto degli assegni. Frustrati, i rapinatori avevano messo a soqquadro l’appartamento e, dopo aver rovistato in tutte le stanze, si erano impossessati di gioielli e preziosi per un valore di circa 15 mila euro. Solo dopo diverso tempo la coppia era riuscita a liberarsi dalle fascette e a dare l’allarme facendo accorrere i carabinieri.
All’epoca i militari dell’Arma, oltre a cercare invano i due, avevano effettuato tutti i rilievi di rito repertando le 15 fascette utilizzate per bloccare marito e moglie e inviate al Ris di Parma. Sui pezzi di plastica, dopo 12 anni dagli eventi, è stato possibile individuare un profilo genetico estraneo alla coppia che immesso nella banca dati nazionale ha avuto un riscontro col dna di un uomo, oggi 39enne, originario di Reggio Calabria. Il soggetto, già noto alle forze dell’ordine per porto ingiustificato di armi ed oggetti atti ad offendere, grimaldelli, rapina, ricettazione e detenzione di armi clandestine e stupefacenti nel maggio del 2020 era stato scarcerato dal penitenziario di Biella dove stava scontando una pena per ricettazione e rapina.
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Dalle indagini era poi emerso che il calabrese, nel giugno del 2012 un mese prima della rapina a Riccione, era stato fermato per un controllo dalla polizia Stradale di Pesaro e, in quella occasione, era in compagnia di un compaesano allora 52enne anche lui già noto alle forze dell’ordine. Il sostituto procuratore Luca Bertuzzi, che ha coordinato l’indagine, visti gli esiti del dna ha ritenuto che uno dei finti carabinieri autori del colpo fosse proprio il 39enne e ha chiesto nei suoi confronti il rinvio a giudizio per lesioni personali e rapina e il prossimo 15 maggio dovrà comparire davanti al gup Raffaele Deflorio per l’udienza preliminare.
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