Si può combattere la violenza delle “chiacchiere da bar”?
“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.” – Martin Luther King
Alla fine è successo. I racconti sessisti e denigratori che molti uomini prima definivano come semplici “chiacchiere da spogliatoio o da bar”, incentrate sul racconto di questa o quella performance sessuale con la propria moglie, fidanzata, amante, e in cui spesso veniva mostrata foto della malcapitata, magari scattate in un momento di intimità, si sono presi uno spazio più grande.
Così i discorsi all’insegna della misoginia, già di una gravità estrema quando venivano sostenuti da un numero ristretto di partecipanti, sono approdati sulle piattaforme social: si è passati dallo “scherzare con gli amici”, rivolgendo commenti a sfondo sessuale nei confronti di donne e ragazze di loro conoscenza o delle quali veniva mostrata l’immagine, ad un gruppo Facebook dove i 32.358 partecipanti possono rendere pubbliche quelle stesse foto e commentare sotto i post degli altri membri con frasi disturbanti e violente.
L’unica differenza tra le due situazioni descritte è la consapevolezza e l’impossibilità di fingere di non conoscere la portata di un atto violento come questo. Non è la prima volta che sentiamo parlare di queste situazioni, ma spesso ci capita di passare il tutto sotto silenzio – compreso lo sdegno che sentiamo – nascondendoci dietro l’idea che ci hanno sempre trasmesso di questi comportamenti come scherzosi, goliardici, normali da tenere tra maschi. Tutti noi sappiamo quanto spesso queste “chiacchiere da bar o da spogliatoio” vengano fatte. Sappiamo anche che molti uomini ne sono autori e che altrettanti le recepiscono passivamente (non facendo comunque nulla per fermare questa violenza verbale dilagante, la stessa che in certi casi assume connotazioni sempre più gravi).
Ma vederle scritte su un social media, postate in modo permanente con tanto di foto allegata, visibili e fomentate da un numero spropositato di uomini non ci ha più permesso di rimanere in silenzio. Così grazie a coloro – le donne – che hanno trovato la forza e il coraggio per non passare anche questo sotto silenzio, il gruppo “Mia moglie” è stato finalmente chiuso dopo 6 anni di attività. C’è ancora molto che può e deve essere fatto per impedire che tutto questo si ripeta e ciò che è successo deve perlomeno portarci a fare alcune riflessioni.
Per gli uomini è necessaria una rivoluzione culturale interna e un cambiamento sistematico del genere non può che partire da quegli uomini che sentono crescere in loro stessi la rabbia e il disgusto quando vengono a conoscenza di fatti come questi. Il problema però è che spesso non sono in grado di far nascere dalle emozioni che provano momenti di confronto e dibattito con persone dello stesso sesso a loro vicine.
“Gli uomini non sono abituati a pensarsi come collettività, come genere, come fratellanza – dice Giacomo Zani, presidente di Mica Macho, collettivo composto da uomini e che si pone come obiettivo quello di ripensare il maschile-, la prima reazione di fronte a questi episodi è dire: io non sono così. Invece la domanda giusta sarebbe: perché molti lo sono?”.
Risulta sempre più evidente la necessità e l’urgenza di mettere in discussione il maschile di oggi per auspicare ad un maschile di domani migliore, e non solo per le stesse donne. Comportamenti come quello di condividere le immagini della propria partner – alcune delle quali non reali, generate con l’AI- sono infatti segno di un retaggio culturale maschile basato sull’idea che il valore di un uomo dipenda dalla bellezza della donna che ha accanto, come affermato dallo stesso Zani. Le donne finiscono così per essere mostrate come trofei in un gruppo Facebook fatto di uomini che non le concepiscono in altro modo se non come premi da mostrare, segni del proprio valore virile, degli oggetti spersonalizzati utili ad elevarli a persone degne di rispetto.
L’idea che deve nascere in coloro che ripudiano questa cultura e che desiderano per loro stessi una realtà in cui potersi affermare per ciò che sono e non per le donne che hanno accanto (che, a differenza degli altri uomini, vedono come persone e non come oggetti) è che l’unico modo possibile per concretizzare questo progetto culturale è far emergere con gli altri uomini le criticità del pensiero maschile odierno. Se il disagio è comune a tutti gli uomini, coloro che ne sono maggiormente consapevoli devono cercare di “risvegliare” in quelli che lo sono meno la fragilità, l’insicurezza e il dolore che nasce dal potersi affermare soltanto sminuendo, sessualizzando e attaccando il genere femminile. Solo in questo modo sarà possibile aprirsi ad un dialogo incentrato sui propri sentimenti ed emozioni per cercare soluzioni.
Il primo passo da fare è ammettere che il disagio esiste ed è tangibile per tutti. Arrogarsi il compito – estremamente complesso, me ne rendo conto – di venire per primi allo scoperto dicendo “così, per me, non è più sostenibile”: sarà utile forse per riconoscersi numerosi in questa situazione? Per smuovere le coscienze di coloro che non hanno mai pensato che fosse possibile essere uomini in un modo diverso? Il progresso è una questione sociale, il miglioramento è utile solo se spinge l’altro a mettersi in discussione. Altrimenti si rimane spettatori di uno spettacolo che sì disprezziamo, ma che non abbiamo la forza e il coraggio di pretendere che cambi.
✍️ Benedetta Conti