Salute

Sette persone su dieci sono obese: lo studio che cambia tutto

Un’epidemia. Di più: una crisi globale, le cui proporzioni potrebbero essere molto più estese rispetto a quelle già macroscopiche di oggi, se ovunque fossero adottati i criteri proposti a inizio anno dalla commissione sul diabete di Lancet, approvati da 76 società scientifiche. Le nuove indicazioni prevedono infatti, per definire una persona obesa, una valutazione dei parametri antropometrici da aggiungere a quella classica dell’indice di massa corporeo o Bmi e, in particolare, un calcolo della circonferenza della vita, del suo rapporto con l’altezza e di quello con la lunghezza del femore. Ma ciò significa che può essere obesa anche una persona che ha un Bmi normale, e due degli altri parametri fuori misura, oppure una che ha un Bmi elevato e uno di questi valori oltre i limiti.

Lo studio di Boston raddoppia i tassi di obesità

I ricercatori del Massachussetts General Hospital di Boston hanno applicato i nuovi criteri a 300.000 americani, e ottenuto numeri sconvolgenti. Come hanno poi riferito su Jama Network Open, il tasso di obesità tra gli adulti passerebbe infatti dall’attuale 40% circa a un clamoroso 70%, valore che salirebbe quasi all’80% tra gli over 70. E ci sarebbero diversi tipi di obesità, alcuni dei quali preclinici. Oltretutto, i più colpiti sarebbero gli anziani.

Cambia la diagnosi e cambia anche la terapia

Lo studio, appena uscito, aiuta a comprendere meglio ciò che si sta vedendo nelle pipeline delle aziende farmaceutiche: decine di molecole antiobesità che non rappresentano solo il tentativo di entrare in un mercato miliardario, ma sono il segno di un cambiamento in atto. Tra le più promettenti vi sono la prima molecola orale della classe degli agonisti dei recettori di Glp-1 (la stessa di molecole superstar come semaglutide e tirzepatide, meglio note come Ozempic e Mounjaro), l’orfoglipron, e un nuovo farmaco iniettabile che agisce su tre diversi bersagli, il retratrutide, entrambi di Lilly, l’azienda statunitense già un prima linea con Mounjaro e da decenni attiva nel settore delle insuline e degli antidiabetici. Spiega a Il Sole 24 Ore Patrik Jönsson, vice presidente di Lilly International e responsabile dei mercati globali, a Sesto Fiorentino, sede di uno stabilimento che impiega 1.500 persone: «Le due molecole rappresentano un nuovo approccio: quello che punta a terapie personalizzate in base al tipo di malattia, ma anche all’età, alle comorbidità e ad altri fattori. L’orfoglipron, che ha un’efficacia paragonabile a quella delle sostanze iniettabili, consente di formulare piani terapeutici più flessibili e specifici, da seguire in autonomia anche per anni, con un’adesione agli schemi difficile da mantenere con le formulazioni iniettabili. Inoltre potrebbe arrivare ai pazienti che vivono in condizioni o in paesi nei quali l’accesso alle formulazioni iniettabili è complicato, quando non impossibile. Tra l’altro, le pastiglie hanno un impatto ambientale decisamente inferiore rispetto alle iniezioni, perché non richiedendo plastica né dispositivi monouso».

Dai farmaci orali ai tripli agonisti

Se con orfoglipron – la cui approvazione potrebbe arrivare entro pochi mesi, visto che gli studi di fase III ne hanno confermato efficacia e sicurezza– si potrebbero curare più obesi, con il retratrutide l’attenzione si sposta sui pazienti più difficili, quelli con i parametri peggiori. E questo perché la nuova molecola agisce su tre bersagli. Il risultato è una perdita di peso molto significativa, unita, però, a effetti collaterali che potrebbero essere più pesanti di quelli già noti. «La cura di queste persone, quasi sempre colpite da numerose patologie associate, è difficile, ed estremamente costosa. Perdere decine di chili, anche tollerando gli effetti collaterali – per i quali, peraltro, si stanno studiando molti farmaci di supporto –cambierebbe radicalmente la qualità della loro vita e della loro salute». Le due molecole sarebbero quindi rivolte specificamente a tipologie di obesi differenti, pur essendo entrambe “antiobesità”.

L’ampliamento dei criteri pone comunque, in tutta evidenza, una questione di costi di cui l’azienda sta discutendo con le autorità sanitarie di tutto il mondo, per giungere a una rimborsabilità che, visti i numeri, è spesso concessa solo a certe condizioni, sempre diverse. E l’Italia, primo paese al mondo a riconoscere l’obesità come patologia, dovrà decidere molto presto come regolarsi. «Tutti gli studi di farmacoeconomia – conclude però Jönsson – concordano: costa molto meno far uscire una persona dall’obesità piuttosto che curare l’obesità e patologie correlate, magari per tutta la vita».


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