“Senza papà Gianni Morandi non avrei imparato il valore dei soldi. Milano è la città del diavolo, mi sono perso e sono andato in terapia”: parla Tredici Pietro
Sgomberiamo subito il campo da equivoci. Tredici Pietro è il figlio di Gianni Morandi, già prima di lui Marco Morandi aveva tentato la carriera da cantautore. Ma qui la storia è diversa. Per diversi motivi. Prima di tutto perché Pietro è apprezzatissimo nella scena dell’hip hop, è entrato in punta di piedi, ha sparigliato le carte, aspettando che le luci dei riflettori si spegnessero e poi ha calato il suo asso nella manica: l’album “Non guardare giù”, coprodotto da Sedd e Fudasca. “Questo non vuole essere il disco con i featuring della classifica – ha spiegato subito – è più un disco di un racconto che spero arrivi in classifica perché l’obbiettivo è di farsi ascoltare da più persone possibili”.
Ma soprattutto Tredici Pietro è una testa pensante pronto ad accendere dibattiti. Ad esempio ha definito lo psicologo “un pantheon”. Con buona pace della Chiesa.
“Guardiamo già davanti ai 350 morti a Gaza” – Il titolo del disco è un po’ una provocazione, è un po’ un controsenso perché racchiude proprio il nostro momento, cioè quello che facciamo noi spesso quando ci arriva davanti la notizia dei 350 persone morte sulla Striscia di Gaza. L’istinto ci porta a spegnere la tv e a non guardare giù. Questo accade perché vogliamo vedere solo la nostra vita e occuparci delle nostre cose. È un momento difficile perché sarebbe da scendere in piazza, giù tutti insieme, a fare la rivoluzione. Però ci si blocca perché abbiamo pensieri e preoccupazioni come ad esempio: c’è da pagare prima l’affitto”.
“Non sai come ca**o cambiare le cose” – Il cambiamento parte dal singolo perché coinvolge anche gli altri. Quello che posso fare io è lanciare la pietra e lanciare la provocazione però ci deve essere qualcuno che la prenda. Poi sono tutti discorsi metaforici, poco pratici, in un momento in cui abbiamo tutti delle priorità di un altro tipo. Qui parte anche un po’ di incoerenza perché non sai come cazzo cambiare le cose! Io mi ritrovo senza soluzioni, ma non voglio nemmeno essere quello che dice ‘dobbiamo cambiare’.
“C’è un disagio enorme in giro” – Non posso parlare per la mia generazione, ma posso parlare per le persone che ho visto, per chi ho accanto, per chi ho attorno… Che siano le macchinette, che siano le droghe, che sia il telefono, che sia la costruzione di un alter ego attraverso un personaggio del videogioco fortissimo in cui tutti rifugi costantemente, che sia un gesto anche il fumarsi la sigaretta…Vedo un disagio enorme, vi un’incapacità di azione perché appunto ci ritroviamo qua a dire ‘io so che c’è da fare la rivoluzione, ma come?’ Sono contento almeno di aver fatto un disco che ogni tanto cerca di mettere in luce queste cose. Siamo come congelati: se i nostri genitori si sono comprati la casa facendo anche meno cose rispetto ad oggi…Noi dobbiamo coparci di comprare la casa facendo i miracoli. Quindi come la facciamo la rivoluzione? Prima comprati casa, poi si vede.
“Siamo la generazione dell’IO” – Parlo di patriarcato in questo disco perché, inutile negarlo, viviamo in una società patriarcale. Spesso non parlarne è solo un modo per lasciare le cose così come sono. Sono convinto che tanti rapper non ne parlano ma non perché sono in malafede, perché sono circoscritti dentro questa società e se devono dirlo lo fanno per essere ‘certificati’ da qualcun altro, dal loro gruppo di appartenenza. C’è bisogno di parlare di queste cose, ho parlato tanto di anche di salute mentale per uscire dagli schemi. A me sembra che noi siamo la generazione dell ‘io, cioè la gente parla sempre di se stessi. C’è poco confronto una tendenza a mettersi sempre in mostra.
“Quando non ho votato me ne sono pentito” – Siamo una generazione molto poco politica, facciamo musica poco politica. Ma non è che non siamo attenti politicamente, è che abbiamo altre priorità, quindi tutto il resto passa in secondo piano. Ho votato in passato, ma è anche successo che non ci andassi a votare. Me ne sono vergognato perché bisogna andare, piuttosto megio lasciare scheda bianca. Ma mi chiedo anche chi dobbiamo votare se non ci informiamo e non abbiamo nemmeno l’interesse per informarci.
“I miei coetanei non credono nelle istituzioni” – Se c’è una cosa che abbiamo tutti in comune della nostra generazione è che alle istituzioni per come sono adesso non crede più nessuno. Nessuno crede delle forme di istituzioni tradizionali. Ho letto del sondaggio della Bocconi dei ragazzi che votano a Destra e vogliono ‘l’uomo forte’. Pensa un po’. Sono di Bologna, vivo comunque nel mondo della musica, quindi sono anche un po’ esentato da questa roba, cioè nel senso i miei pari non hanno per fortuna il mito dell’uomo forte.. Però in giro la vediamo questa distorsione della memoria storica e di attenzione. L’unica soluzione che mi sembra plausibile è violenta. Ci vuole un bello schiaffone per creare uno scossone che risvegli dall’intorpidimento in cui stiamo vivendo.
“Milano, la città del diavolo” – Milano è la città dove si esprime meglio l’individualismo, anche se si sta espandendo anche in altre parti d’Italia. Ovunque ci giriamo c’è un cartellone pubblicitario, è la città del ‘non ho tempo’. Ma non hai tempo davvero? Per prenderti un po’ di spazio per te? Comunque è la città dove, ormai, vivo. Dove ho convissuto con la mia ex storica con la quale sono stato sette anni e poi è finita. Mi dispiace perché a Milano, che cito anche come la città del diavolo, mi sono fatto portatore di valori che non sono i miei e mi sono sentito più piccolo e in difetto rispetto al mito di Milano di quando sono arrivato da Bologna. Ciò mi ha fatto sentire lento e mi sono perso. Rispetto al passato tutto è cambiato, c’è una depressione di fondo che deriva da tutte queste incertezze e c’è la cultura del dio denaro. Abbiamo paura del futuro.
“Figlio d’arte e sindrome dell’impostore” – Ho sempre cercato di fare e di non chidere mai nulla ai miei genitori. Chiaramente sono diventato famoso come ‘figlio di’ e si sono accesi i riflettori. Un po’ la soffrivo questa cosa dell’essere riconosciuto come ‘figlio di’ e inizialmente non mi percepivo, non sapevo come percepirmi, non sapevo se ero bravo o se ero bravo per il mio nome, se la gente mi ascoltava perché ero figlio di Morandi o per la mia musica. Da qui la sindrome dell’impostore che per fortuna, via via, si è affievolita fino a che è sceso l’interesse mediatico su di me e avevo meno occhi addosso. Magari facevo dei numeri più piccoli, ma erano ‘veri’.
“A Sanremo? Ci ho provato quest’anno” – Non ho potuto fare Sanremo Giovani perché il nuovo regolamento ha abbassato il limite d’età, ma con “verità” (senza mio padre non avrei imparato il valore dei soldi e delle cose che non hanno le parole e si tengono nascoste) ho provato ad entrare tra i Big. Non ce l’ho fatta, ci riproverò l’anno prossimo o tra due anni.
“Il terapista di oggi è il nuovo pantheon” – Quella dello psicanalista oggi sembra essere la verità assoluta, siamo in una posizione simile a quella di un prete, ambasciatore di Dio in terra. C’era un luogo, era la Chiesa, il luogo del giusto e dello sbagliato. Dallo psicologo, visto come figura assoluta, esistono verità assoluta. Lo psicologo, è quasi una provocazione, sembra abbia sostituito la Chiesa. Il lettino nello studio è quel luogo dove tu metti tutto te stesso la tua verità e dove si espiano i peccati. È il nuovo pantheon. Oggi usciamo dal psicologo ognuno con la sua storia risollevati e senza un peso dentro. Per un periodo ho pensato anche che potesse essere una cosa che mi allontanasse dai miei, invece non solo mi sono riavvicinato ai miei ma ho potuto esprimere quel che volevo dire. Lo psicologo dovrebbe essere un servizio a disposizione per tutto e non a pagamento, non tutti possono permettersi 70 o 100 euro a seduta. Abbiamo un sistema sanitario che permette ai medici di prendere uno stipendio statale importante, andrebbe dato uno stipendio statale importante agli psicologi, perché sono figure fondamentali.
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