Cultura

Senna | Indie For Bunnies

Sei episodi che racchiudono tutto il misticismo e tutta l’aura-pop di un personaggio iper-trasversale come Ayrton Senna. È un po’ questo l’intento (dichiarato) della Serie Netflix (con produzione brasiliana) “Senna“. Del resto, le immagini e la carriera dell’indimenticato e indimenticabile campione di automobilismo – scomparso all’età di 34 anni per quel maledetto incidente a Imola, avvenuto il 1 maggio del 1994 – vivono ancora nel cuore e negli occhi di appassionati ed addetti ai lavori.

Come potrebbe essere altrimenti? Provateci voi a trovare un’icona di siffatta malinconia ancestrale. Sì, insomma, è esercizio maledettamente difficile descrivere la vita di un personaggio così amato e idolatrato senza cadere nella ripetitività più patetica e banale. Alla fine, Vicente Amorim (regista) e Gabriel Leone (colui che ha interpretato Ayrton) sono riusciti ad evitare gli scivoloni più rischiosi, dando vita ad un prodotto complessivamente convincente.

Gli anni Ottanta/Novanta di Senna e quelli della Formula 1 sono stati teatro di sfide epiche e di rivalità oltremodo accese. Quella con Alain Prost, per esempio, viene raccontata in maniera quasi minuziosa, provando a sposare – forse in maniera troppo unilaterale – il punto di vista di Senna, scandagliando tutte quelle dinamiche che hanno incendiato la loro convivenza nell’epoca d’oro della McLaren. Va da sé, natuaralmente, che Ayrton Senna sia stato un genio delle quattro ruote e un uomo decisamente complesso. Tormentato, se vogliamo. E l’ottima interpretazione di Leone ha fatto sì che alcune espressioni – anche facciali – tipiche della leggenda brasiliana, fuoriuscissero senza eccedere in pantomime caricaturali.

E poi, ancora, le relazioni appassionate (come quella con la superstar brasiliana XuXa, nota e bellissima showgirl dell’epoca), quelle dannatamente instabili (il matrimonio naufragato con Lilian de Vasconcelos Souza), quelle futuribili ma interrotte dal destino (Adriane Galisteu) e quella di amore eterno con il Brasile. Un altro legame atipicamente indissolubile è quello instauratosi con uno dei personaggi-chiave della Serie (nonché uno di quelli meglio scritti), ovvero, la giornalista (frutto di una pura ‘invenzione poetica’) Laura Harrison (rappresentata ottimamente dall’attrice Kaya Scodelaro). Quest’ultima, in pratica, segue tutta la carriera di Ayrton, dagli esordi fino all’ultima tragica gara di Imola, arrivando quasi ad empatizzare (oltre che a scontrarsi) con lo stesso e apparendo come una sorta di personaggio Dantesco. Sì, perché, l’arrembante giornalista inglese funge da traghettatrice tra le varie “ere” di Senna in Formula 1.

Provando a tirare un po’ le somme, dunque, potremmo definire la Serie in questione come un prodotto estremamente gradevole e che di certo non farà storcere il naso ai tanti, tantissimi estimatori del campione brasiliano. Quella di Ayrton è una storia piena zeppa di sfumature, anche poetiche. Soprattutto poetiche Già, perché Senna non è stato solo un pilota di Formula 1, ma anche e soprattutto un (anti)eroe. Uno di quelli che – come direbbe il maestro Giorgio Terruzzi – erano feroci in pista, ma dannatamente umani al di fuori di essa.

E se la Serie Netflix è servita ad avvicinare – non solo i nostalgici – ma anche i più giovani ad un personaggio così carismatico, beh, Vicente Amorim (regista) e Gabriel Leone hanno già vinto. Non era mica così scontato.   


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