Se un Comitato valuterà il nostro diritto a morire
Il disegno di legge sul suicidio assistito, sul quale già sono stati presentati una sessantina di pagine di emendamenti, si basa su una proposta presentata dalla maggioranza di centrodestra e adottata come testo base dalle Commissioni Giustizia e Sanità del Senato il 2 luglio 2025. Tale disegno va letto chiaramente in risposta alla legge regionale approvata dalla Regione Toscana nel febbraio del 2025, basata su una proposta di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Luca Coscioni. Anche ad una lettura superficiale risulta subito evidente che il disegno di legge sia più restrittivo della legge regionale. Ma non è su questo che qui voglio insistere. Del resto, ciò fa parte della dialettica politica: la maggioranza politica è di centrodestra, la Regione in questione di centrosinistra.
Sia la legge regionale sia quella nazionale in discussione si presentano come risposte alle sentenze della Corte costituzionale che avevano posto alcune condizioni affinché si potesse accettare il suicidio assistito e precisamente le seguenti: presenza di una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psichiche, essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale (un punto in seguito precisato dalla Corte), ma al contempo in grado di prendere decisioni libere e consapevoli. Nel rispetto di queste quattro condizioni il suicidio assistito sarebbe, dopo le sentenze della Corte, compatibile con il nostro ordinamento. Compatibile non significa che sia un diritto in senso forte. E neppure per la Corte, a dire il vero lo è, si tratta soltanto di una attività che in certe condizioni è ritenuta lecita.
E tuttavia mentre la legge regionale segue con coerenza il dettato della Corte non altrettanto si può dire per il disegno di legge in questione e non solo perché introduce una quinta condizione non prevista dalla Corte (la richiesta del suicidio assistito è infatti anche subordinata all’ essere inseriti in un programma di cure palliative). Beninteso, il Parlamento è sovrano, non deve necessariamente seguire quanto stabilito dalla Corte, potrebbe anche approvare una legge che non corrisponde alle sue indicazioni, andando prima o poi incontro ad un eventuale giudizio di incostituzionalità. E da questo punto di vista si può persino criticare la sentenza Corte per essersi spinta quasi a legiferare, nel senso di indicare quello che il legislatore dovrebbe fare. Stabilisce condizioni, procedure, tanto che il legislatore sembrerebbe avere le mani legate. (Anche se va pur detto che la Corte aveva lasciato tempo al legislatore di intervenire prima di farlo lei con una seconda sentenza). Il fatto è che rispetto a questa legge, se resterà l’impianto attuale, succederà quello che è già successo con la legge sulla procreazione medicalmente assistita, che come è noto, nonostante il fallimento di un referendum abrogativo, è stata riscritta dalla Corte, facendo venire meno molti divieti.
Ci sono, infatti, due punti in cui il legislatore va addirittura in senso esattamente contrario a quello indicato dalla Corte. Il primo è l’istituzione di un Comitato Nazionale di Valutazione, di nomina del Presidente del Consiglio, che attraverso quel Comitato di fatto decide se accettare o rifiutare la richiesta del paziente. Il secondo è l’esclusione totale del Servizio Sanitario Nazionale dalla pratica del suicidio assistito. Per un verso si centralizza l’intera procedura affidandola addirittura in ultima istanza al premier, per l’altro non si capisce bene da chi verrà assistito il malato terminale che vuole suicidarsi, dal momento che è escluso possa parteciparvi “il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci, di cui dispone a qualsiasi titolo il Sistema Sanitario Nazionale”. Per un verso si nazionalizza la morte e per l’altro la si privatizza.
Solo due spunti di riflessione. Se si vuole evitare la medicalizzazione della morte (e credo che questo sia il nocciolo che andrebbe preservato di questa legge) bisognerebbe indicare una via alternativa, anche tenendo conto di quello che, ad esempio, avviene nella vicina Svizzera. Oppure trovare nuove strade, e mi sembrerebbe giusto farlo perché se la richiesta dell’assistenza al suicidio non è un diritto in senso forte, non c’è nessun motivo per cui debba passare attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. La legge, insomma, potrebbe sotto questo profilo limitarsi a modificare l’art. 580 del Codice penale nel senso indicato dalla Corte. Anche perché il ruolo del medico dovrebbe limitarsi a quello della prescrizione di farmaci adeguati, restando per il resto estraneo alla esecuzione del suicidio. Non si può risolvere il problema con la mera obiezione di coscienza, ne va infatti della sua etica professionale.
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