Ambiente

Se l’Unione europea scommettesse sulla domanda interna

La strategia per il bilancio 2028-2035, presentata la settimana scorsa dalla Presidente della Commissione europea, costituisce la risposta che l’Europa intende dare nel medio-lungo termine alle sfide – ecologiche, militari, energetiche, migratorie, economiche – che il pianeta è chiamato ad affrontare. Una valutazione della sua possibile efficacia non può tuttavia prescindere dalle pressioni statunitensi che arrivano al Vecchio Continente via Presidente Trump e che costituiscono fonte di ulteriore complessità e criticità per l’Unione europea.

Gli Usa ci chiedono due cose, di non poco conto: accettare i dazi senza reagire e incrementare decisamente la spesa militare. Le ragioni? Riequilibrare il proprio disavanzo commerciale e tornare a rendere sostenibile il loro debito pubblico, mettendo al contempo in sicurezza la stabilità della propria valuta e dei propri Treasury bond. Dietro questi aspetti economico-finanziari giace tuttavia un’esigenza politica: riportare le fonti di sviluppo all’interno dei propri confini, cessando di essere l’acquirente del mondo e tornando ad essere il produttore del mondo. E questo sia per motivi di sicurezza nazionale che per rispondere alla base elettorale trumpiana, devastata dagli effetti della globalizzazione su occupazione e salari dei “blue-collar workers”.

Sembra che l’Europa, da sempre renitente ad assumere la leadership strategica nell’alleanza atlantica, si avvii ad accettare le richieste Usa senza distinguo, ad eccezione di quello spagnolo sulle spese militari. Accettazione certamente costosa, con i dazi che colpiscono l’export Ue e l’incremento della spesa militare che ne deprime la spesa sociale (esempio lampante è la recente proposta Bayrou per il bilancio francese), ma soprattutto pericolosa, perché aggiunge benzina sul fuoco già alto dei movimenti populisti e antieuropei, aumentando il rischio di spaccatura ed implosione dell’Ue stessa.

Una via alternativa, che accomodi e anzi aiuti le richieste statunitensi, stimolando al contempo l’economia e quindi la “politica” europea esiste. Consiste nell’assumersi, come Ue, il ruolo di consumatore del mondo, finora giocato dall’America, abbandonando il modello mercantilista à la tedesca, basato su export e competizione salariale nell’area euro, stimolando invece la nostra domanda interna, proveniente da una popolazione che supera di un terzo quella statunitense e azzerando così il deficit commerciale con gli Usa grazie alle maggiori importazioni dovute alla nostra maggiore crescita. Questo aumento di domanda interna, da trainare grazie a investimenti privati e pubblici che permettano di recuperare competitività e rendere possibili aumenti salariali, stimolerebbe ulteriormente domanda, produzione e reddito, innescando così un circolo virtuoso.

Unico vincolo a questa proposta è rappresentato dal Patto di Stabilità e Crescita che, imponendo politiche austere, blocca la ripresa così perpetuando quegli alti debiti pubblici su Pil, che a parole l’Ue vuole invece ridurre. Certo, la proposta di bilancio Ue 2028-35 sembra ammiccare a questi investimenti pubblici, prospettando un aumento da 1200 a 2000 miliardi di euro, interamente autofinanziato da Bruxelles: ma parliamo di 100 miliardi in più l’anno, una goccia nel mare dei 16mila miliardi di Pil dell’Ue. Ancor più irrilevante in considerazione della posizione della Germania che, se da un lato non intende accettare la proposta Ue, volendo invece procedere con una propria politica fiscale espansiva, dall’altro si oppone all’utilizzo di analoghe politiche espansive da parte dei Paesi membri “non frugali”, minando definitivamente la possibilità che tali politiche abbiano invece l’effetto desiderato e necessario.


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