Se il diritto all’abitazione diventa un miraggio
Una volta era “casa dolce casa”. Oggi, per molti, è diventata un miraggio.
Dai tempi della pietra e della fionda, la casa è simbolo di stabilità, rifugio e radicamento. Lungi dal ridursi ad un mero bene materiale, la casa è l’essenza stessa dell’appartenenza: il luogo dove si sedimentano le memorie, si forgiano le identità, si tramandano le radici. In molte culture, compresa la nostra, l’ambiente domestico rappresenta la continuità generazionale, costituendo un punto di riferimento imprescindibile di sicurezza e coesione.
Il diritto all’abitazione è riconosciuto come fondamentale dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 25), dalla Costituzione italiana (art. 47) e da numerose sentenze della Corte costituzionale. Tuttavia, negli ultimi decenni, la mancanza di politiche abitative e di strumenti di welfare ha contribuito a svuotare questo principio, e la casa è divenuta sempre più un asset finanziario, affidato alle dinamiche del mercato e della rendita.
Le ragioni di questo mutamento sono molteplici e riconducibili a dinamiche economiche ben precise. In primo luogo, la crescente domanda di soluzioni abitative flessibili nelle aree urbane ha favorito l’espansione degli affitti brevi e dei cosiddetti serviced apartments, con una conseguente contrazione dell’offerta di locazioni a medio-lungo termine. Ciò ha reso sempre più difficile, per ampie fasce della popolazione, accedere ad un’abitazione stabile.
Parallelamente, l’elevata redditività degli affitti a breve termine ha attirato l’interesse degli investitori, soprattutto istituzionali, storicamente distanti dal settore residenziale in quanto ritenuto poco remunerativo. La trasformazione della casa in strumento di rendimento ha alimentato una dinamica speculativa che ha ulteriormente allontanato l’abitazione dalla sua originaria funzione sociale.
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