Scuola e disabilità, il presidente Fish Vincenzo Falabella: «L’Italia ha costruito una visione delle classi fondata sull’inclusione, non sulla segregazione. Lotteremo perché resti tale»
Meno di una scuola su 2 è priva di barriere architettoniche. Lo dice l’Osservatorio civico sulla sicurezza a scuola di Cittadinanzattiva. Non è però solo l’accessibilità degli istituti in discussione in questi giorni. A quasi cinquant’anni dall’abolizione delle classi differenziali il 27% degli insegnanti intervistati si è detto favorevole alla riapertura delle scuole e delle classi speciali. L’indagine su un campione di 833 docenti, di ogni ordine e grado e di tutte le regioni italiane, è stata fatta dal centro studi Erickson di Trento. Questa percentuale è in aumento di 10 punti rispetto a due anni fa. All’ipotesi che tornino le classi separate si oppone fermamente Vincenzo Falabella presidente di Fish Ets, Federazione Italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie. «Le classi separate non possono esistere perché sono in contrasto con la cultura e con la storia educativa del nostro Paese».
Quale situazione c’è attualmente nelle scuole italiane: gli alunni con disabilità hanno percorsi efficaci e utili?
«L’Italia vanta una tradizione normativa tra le più avanzate al mondo in materia di inclusione scolastica: già nel 1977, con la legge 517, fu il primo Paese ad abolire le scuole speciali, scegliendo un modello in cui gli alunni con disabilità vengono accolti nelle classi comuni. Questo principio, fondato sull’idea che la scuola debba essere uno spazio di partecipazione e crescita per tutti, rappresenta ancora oggi un punto di riferimento».
Questi dice la legge, ma la realtà quale è?
«Nonostante questo primato, la realtà attuale è caratterizzata da una forte discontinuità nei percorsi educativi, spesso dovuta al ricambio annuale dei docenti di sostegno. Proprio per mitigare questa criticità è stato introdotto l’intervento adottato con il Decreto 32, che consente alle famiglie di richiedere la conferma del docente di sostegno dell’anno precedente. L’obiettivo del decreto è garantire continuità didattica e relazionale, elementi fondamentali per la costruzione di percorsi realmente efficaci: un docente che conosce la storia, i bisogni e le potenzialità dell’alunno può progettare e attuare interventi più mirati, coerenti e stabili.Tuttavia, pur rappresentando un passo avanti, questo intervento non è sufficiente a superare tutte le criticità del sistema. Per rendere effettivo il modello inclusivo delineato sin dal 1977 serve una riforma strutturale più ampia, capace di andare oltre le conferme annuali e di istituire cattedre di sostegno stabili, assegnate a docenti specializzati che operino in organico in modo continuativo. Solo attraverso un organico stabile, preparato e radicato nelle scuole sarà possibile garantire ai ragazzi con disabilità percorsi educativi solidi, efficaci e in piena coerenza con la tradizione inclusiva che l’Italia ha inaugurato quasi cinquant’anni fa».
La situazione del sostegno: mancano insegnanti, ma soprattutto mancano insegnanti qualificati?
«La carenza di insegnanti di sostegno non è dovuta solo al numero insufficiente di docenti formati, ma anche al fatto che molti insegnanti specializzati, dopo essere entrati nella scuola, passano rapidamente al posto curricolare. Questo fenomeno sottrae al sostegno proprio le figure più qualificate, generando instabilità, turn-over e una perdita continua di competenze. La ragione è che il sostegno viene ancora percepito come un ruolo provvisorio: un canale per accedere più velocemente al ruolo, ma non un ambito professionale da mantenere nel tempo. Le condizioni di lavoro spesso complesse, l’assenza di un riconoscimento formale della specializzazione come carriera dedicata, la scarsa valorizzazione economica e la maggiore stabilità percepita nelle cattedre disciplinari spingono molti docenti a chiedere il passaggio».
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