Scambio di prigionieri, Caracas rallenta: altro tempo per Trentini e gli italo-venezuelani detenuti
La lentezza, vizio e virtù, permea ogni cosa nei Caraibi: il passo della gente, l’avvio di una riunione e persino l’attuazione di una delicata trattativa. Succede a Caracas, dove a mezzanotte, ora locale, erano stati rilasciati appena trentotto su ottanta prigionieri richiesti da Washington in cambio dei 251 migranti adulti e dei sette bambini rientrati venerdì sera in Venezuela. Ma non tutto il male viene per nuocere. Anzi, l’ironia vuole che sia proprio la lentezza criolla ad aprire un ulteriore spiraglio per la Farnesina, chiamata a giocarsi tutte le carte per portare a casa Alberto Trentini e tutelare anche gli italo-venezuelani ancora trattenuti nel Paese sudamericano. E ci sarebbe da sperare, visto che la trattativa è stata diretta dal segretario di Stato Usa Marco Rubio a cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani si era rivolto a inizio proprio in riferimento a Trentini. Anche perché l’assenza italiana pesa, laddove sono stati rilasciati i dieci ostaggi Usa che rimanevano in Venezuela oltre a diversi stranieri, tra i quali l’uruguaiano Luis Buglione, il peruviano Renzo Huamanchumo Castillo, e il luso-venezuelano William Davila, già deputato al parlamento di Caracas e per il quale il governo di Lisbona è intervenuto presso Caracas. Altre fonti riferivano anche il rilascio di alcuni spagnoli, grazie alla mediazione dell’ex-premier socialista spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, ma l’indiscrezione non è stata ancora confermata.
Le aperture a Washington e Caracas – Fino a venerdì i rilasci sono stati seguiti direttamente da Washington, che era intervenuto per trattare sul gendarme argentino Nahuel Gallo, sottoposto a isolamento totale ne El Rodeo I. A tale proposito il Dipartimento di Stato Usa aveva coinvolto il cancelliere di Buenos Aires Gerardo Werthein e la ministra di Sicurezza nazionale Patricia Bullrich, ma il presidente Maduro ha alzato la posta in gioco, esigendo condizioni che gli Usa hanno ritenuto inaccessibili. “Il Venezuela ha pagato un prezzo elevato per ottenere il rilascio dei propri connazionali, attraverso uno scambio con le autorità degli Stati Uniti d’America“, ha sottolineato il presidente Nicolás Maduro, che si è riferito ai dieci statunitensi rilasciati come “terroristi” e “agenti della Cia”, ma ha anche ringraziato l’omologo Usa Donald Trump, dicendosi disposto ad assumere l’onere laddove ci sia da “tutelare i diritti fondamentali dei venezuelani”. Un segnale di ulteriore apertura è stato dato dal ministro.
Criticità – Tuttavia il clima politico non è sereno dentro i confini venezuelani a una settimana delle elezioni municipali anticipate da Maduro. E per gli ex-detenuti locali rilasciati da Caracas l’odissea non è finita: sono stati scarcerati sotto misure cautelari, rischiando di tornare prima o poi in cella, come accaduto in passato. Ma l’incertezza più grande è rivolta verso chi rimane dentro: venerdì sera amici e familiari di Americo De Grazia e Biagio Pilieri vegliavano davanti al carcere dell’Helicoide, in piazza Venezuela, chiedendo notizie agli agenti dell’Intelligence che gestiscono la struttura. Quanto a Trentini, viste le distanze, non c’è nessuno che possa attenderlo fuori da El Rodeo I, bensì in Italia.
Altro timore riguarda il ruolo di Washington, che dopo aver garantito il rilascio dei propri detenuti si è sfilato dal processo, lasciando l’attuazione della trattativa sotto la piena discrezionalità del governo di Caracas. La Casa Bianca ha la pancia piena in quanto risulta l’unica vincitrice della trattativa: ha riportato a casa i propri prigionieri e ha rispedito a Caracas i migranti che non desiderava e per i quali sosteneva un costo di spesa di 6 milioni di dollari annui al Centro di confinamento del terrorismo (Cecot). Il resto spetterà alle singole cancellerie, consapevoli che bisogna far presto, prima che Caracas ci ripensi.
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