Umbria

Sapevi che l’entroterra spopolato è ancora il motore della nostra economia?


di M.T.

Aree interne, entroterra, territori piccoli, borghi semi abbandonati o completamente disabitati, comunque si voglia definire questo perimetro che sa di ‘poca cosa’, i numeri, al contrario ne confermano l’interessante potenziale.

L’Umbria ancor più di altre regioni italiane, ne rappresenta tutte le sue principali caratteristiche sia in termini di problematicità che di opportunità. Si pensi che in Italia ma anche in nazioni considerate boschive, la superficie è coperta per un terzo da boschi, in Umbria invece per la metà.

Si le aree interne: per capirci subito con un esempio, si annoti che 9 prodotti ‘Dop’ su 10 sono ottenuti in Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti e che la Dop economy vale ormai oltre 20 miliardi di euro per l’Italia, di cui la metà guadagnati all’estero. L’agricoltura delle aree interne vale il 56 percento del totale. Non dovesse bastare si annoti inoltre che poco meno del 40% della superficie totale dell’Italia è coperta da boschi, ma nelle aree montane questa percentuale raggiunge il 70 percento mentre tra gli 800 e i 1500 metri si arriva persino al 98 percento: ciononostante l’Italia importa l’80 percento del legno. Secondo lo studio della fondazione Garrone nel 2004, più di 20 anni fa, avevamo rinunciato a un miliardo di euro che si può estrarre dai boschi. Oggi quella cifra è considerata quadruplicata. E, in venti anni si sono persi nelle aree interne italiane 850 mila ettari coltivati.

Una maggiore consapevolezza di tali potenzialità e proporzioni dovute alla presenza di una materia prima di altissima qualità, il legno in questo caso, unitamente alle competenze acquisite in Umbria come fuori dall’Umbria sul rimboschimento e l’economia verde rigenerativa, potrebbero restituire il giusto rilancio e valore all’industria boschiva, a partire dalla quale diverse micro economie collegate potrebbero trovare occasioni di business a partire dalle aree interne. Che però dovrebbero essere destinatarie delle principali direttrici di finanziamento e investimento, recuperando e rilanciando la vita di comunità all’interno di piccoli borghi e paesi, attrezzandoli di comfort, infrastrutture e tecnologie, che trasformerebbero quella che è percepita come una vita monotona in una alta qualità di vita. Principalmente grazie alla possibilità di essere raggiunte velocemente con una mobilità studiata, innovativa e garantita. E poi case più spaziose, attrezzate e confortevoli, che restituiscono comfort e attrazione nel mercato, con costi inimmaginabili in città, all’interno delle quali poter lavorare attraverso le opportunità della rete internet, ma anche della rete di realtà di imprese in connessione virtuosa tra loro, dalle economie forestali e agricole a quelle del turismo e delle risorse umane.

E invece 3 aziende agricole su 4 che hanno cessato la loro attività sono in zone collinari e montane.Unitamente a 330 mila laureati tra i 25 e i 39 anni che dalle zone interne dell’Appennino italiano si sono spostati verso zone urbane. Per non parlare dei giovani che se ne sono andati all’estero. A questi si aggiunga 6 mila paesi abbandonati nelle aree interne d’Italia dove si trova il 48 percento, praticamente la metà, dei Comuni e dove vivono ancora 13,6 milioni di italiani. Qui ci sono 358 borghi, secondo quanto rivelato nel 2023, dove non si è registrato nessun nuovo nato. Le aree interne registrano una velocità di spopolamento doppia rispetto alla media dei paesi italiani.

Insomma il grande potenziale contro la grande perdita di opportunità. La soluzione sta nell’inversione di tendenza a partire dalla consapevolezza e dagli strumenti attualmente possibili. Le aree interne possono diventare il rilancio dell’Italia, della sua identità e qualità di vita. Andare a vivere in un borgo dell’entroterra umbro o marchigiano dovrebbe rappresentare una convenienza, se i governi concentrassero in quella direzione tutti gli strumenti possibili. Qualcosa si è visto ad esempio con il progetto Next Appennino da 171 milioni per mille imprese puntando all’innovazione tecnologica. Ma la Pac e i fondi per lo sviluppo rurale dovrebbero potere essere affiancati a una idea di rilancio delle peculiarità italiane che non presentano le caratteristiche dell’agricoltura estensiva. Queste dinamiche unitamente alla volontà di tanti giovani di uscire dagli uffici e ritrovarsi in natura a fare business potrebbe rappresentare quel mix tanto raccontato e da sempre atteso di antico e tecnologico. Alcuni esempi ci sono a partire dalla nostra Umbria con giovani che hanno messo idee brillanti nelle aziende storiche di famiglie innovando su tutti i fronti e posizionandosi su un mercato del prodotto ricercato e di alta qualità. Qualcosa sta accadendo ad esempio anche lungo le montagne dell’Eugubino dove si sta provando a fare spumante, mentre prima ancora si è cercato di fare buona birra e buono luppolo con la prima filiera d’Italia. Ma tutto questo ha bisogno di farsi sistema. Fiduciosi dei meccanismi virtuosi che si innescano là dove si genera benessere. E’ accaduto anche in passato che le comunità dell’entroterra, laboriose, si sono viste arrivare realtà industriali che ne hanno trasformato positivamente i destini, si pensi ad esempio al distretto del bianco a confine tra Umbria e Marche. Si pensi che si possa guardare in quella direzione.

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