Santo Versace racconta Gianni e l’epopea di famiglia
«Reggio ha un modo per ricordare Gianni: il Corso»; Santo Versace si racconta davanti agli studenti all’Università Mediterranea di Reggio Calabria
REGGIO CALABRIA – Tutta la città ne parla. E tutto è partito da una domanda
Santo Versace, cosa chiede a Reggio per suo fratello Gianni?
“Che gli venga dedicato il posto più bello”.
Poi specifica meglio, sa che il Lungomare è dedicato a Italo Falcomatà. Parla di storia, un giudizio critico su Garibaldi. “Gianni Versace meriterebbe il Corso”, dice. La strada dello struscio e dei negozi, che parte dal Museo e arriva ai nuovi scavi in corso di fronte alla stazione. Sarebbe bellissimo, chissà se i tanti turisti che si vedono intorno ai Bronzi lo sanno: lo stilista è cresciuto a due passi dal Duomo, verso il mare, dove c’era l’Atelier della madre Franca. Viene il mal di testa pensando alle questioni burocratiche e alla toponomastica, ma i precedenti ci sono: vedi piazza Bilotti a Cosenza.
L’occasione è un appuntamento all’aula “Quaroni” della “Mediterranea”. Il Rettore Giuseppe Zimbalatti in prima fila, tanti studenti: e Santo Versace a raccontare un’epopea, una storia che va oltre i film, le serie tv, i romanzi. Tutto raccontato nel suo libro “Fratelli”, tutto vero, nell’amore e nella tragedia, nel sorriso e nel pianto.
“Ogni tanto mi vengono in mente incontri, storie che non ho fatto in tempo a mettere nel libro: per esempio avevo dimenticato un viaggio a Tokyo insieme a Krizia e ai Missoni, una sfilata seguita in piedi accanto a uno stilista giapponese in trance”.
Tutto comincia da Nino e Franca.
“L’esempio lo danno i genitori, la frase sembra abusata ma è una verità universale. Lui generoso, lei creativa. Gianni era già famoso, e lui continuava a consegnare le bombole in città. Lo incontrò un mio amico un sabato pomeriggio. ‘Ho bisogno di lavorare’, gli disse. Lei, figlia di un anarchico, voleva studiare: il padre la fermò dopo la licenza elementare, e forse quel veto è all’origine della fortuna dei Versace. Mia madre apprese il lavoro da una sarta che aveva vissuto a Parigi. E Gianni si appassionò fin da bambino ai suoi vestiti”.
Un’osservazione dal basso, come dice il professor Francesco Armato.
“L’anno della svolta è il ’72. “Florentine Flowers gli offrì una posizione da designer. Doveva lasciare Reggio. ‘Te la senti?’ Gli chiesi. ‘È il mio sogno’ rispose”. La città usciva dalla Rivolta, era in un momento buio. Quell’estate trovarono i Bronzi a Riace. Ripensandoci oggi, mi pare un segno. Siamo figli della Magna Graecia, pura bellezza. Abbiamo ben presenti le nostre radici. E molti modelli di Gianni sono ispirate al mondo classico”.
Quale era il suo ruolo?
“Sono il fratello maggiore, ho sempre accompagnato Gianni e Donatella, tenendo in ordine i conti. Sono diventato adulto a dieci anni, dopo la morte di mia sorella Tina. “Chiedete a Santo” diceva mio padre, quando c’era un problema”.
Armani. il grande rivale.
“Cosa invidia a Gianni Versace? gli chiese il Corriere della Sera. E lui: “Suo fratello Santo”.
Il professor Domenico Marino racconta con una formula il successo dei Versace: “Hanno trasformato la creatività in valore economico”. Gli studenti prendono appunti.
Un giorno lei disse a suo fratello: dobbiamo allargare il mercato, dobbiamo fare i jeans.
“Era quasi inorridito (ride) poi si arrese. Gli stracci te li faccio disse, ma se mi fai scendere, vorrò fare anche qualcosa di ancora più alto”.
Un campione.
“Non abbiamo le parole per certi dolori. Quando perdi un fratello, la parola non c’è: non sei orfano, non sei vedova. Ritrovare la forza per andare avanti fu durissimo, dopo che Gianni venne ucciso da un serial killer che aveva già colpito, uno che doveva essere fermato dall’Fbi”
Scusi la domanda brutale. Dopo l’assassinio di Gianni a Miami tutti vi davano per finiti, le banche bussavano alla porta. Come avete fatto?
“Le racconto quello che è successo prima. Avevamo chiuso la fusione con Gucci e la quotazione in Borsa. Saltò tutto. Ma l’azienda era solida, eravamo una famiglia, eravamo una squadra. Sono stati anni terribili, ma avevo Gianni dentro di me, mi sentivo raddoppiato. Donatella cresceva. Non potevamo mollare, lo dovevamo a lui. Vendemmo molte nostre proprietà, prima di tutto la villa di Miami”.
Per un lungo periodo, avete frequentato le persone più potenti, le più popolari. E quella fu anche l’estate in cui morì Lady D.
“Dopo il divorzio da Carlo d’Inghilterra, era sbocciata. Non aveva più l’obbligo di vestire con gli stilisti britannici. Diventò un cigno, si impegnò in mille operazioni di solidarietà: la ricordo in Duomo a Milano che piangeva sulla spalla di Elton John”.
In quegli anni di lacrime, avete pagato anche il fatto di essere calabresi, la vostra carta d’identità?
“Dopo la morte di Gianni, si è scatenata la letteratura dei dietrologi. Sono andato fino all’Australia a difendere la nostra onorabilità, sempre ho denunciato e sempre ho vinto. La nostra origine autorizzava invenzioni di tutti i colori. Invece noi siamo quelli che hanno cancellato con il nostro lavoro quella famosa copertina di “Spiegel” con spaghetti e P38. L’Italia è tornata ad essere il paese più bello del mondo grazie alla moda”.
Il presidente e fondatore di Entopan Francesco Cicione prova a definire il fenomeno Versace: “Erano una start up e non lo sapevano, la prima nella storia del nostro Paese. Sono riusciti a costruire un ponte fra passato e futuro. Gianni era la scintilla, Santo il motore: un’unica impronta. L’uno senza l’altro non sarebbero arrivati al successo. Racconto lui a partire dal libro: io gli avevo consigliato come titolo “Il fratello maggiore”, lui invece ha deciso per “Fratelli”. Nessuna autorità, ma un legame forte e paritario”.
A proposito, lei si dichiara ossessionato dal futuro. E nella sua nuova vita ha deciso di partecipare al progetto di Entopan.
“Nel cuore della Calabria sta nascendo un hub di innovazione che raccoglierà aziende, ricercatori, ingegneri. La direzione è sempre quella: tradurre i sogni in concreto. Entopan, che ora ha messo radici anche in Sicilia, vuole avere un respiro globale, capace di attrarre talenti e investimenti, di generare opportunità per le nuove generazioni”.
È la moglie Francesca De Stefano a raccontare un altro pezzo di futuro, le attività della Fondazione “Santo Versace” di cui lei è vicepresidente. “Uno spazio che si chiama “Abbracci in libertà” al carcere di Bollate, dove le detenute possono stare con i propri figli. Un’idea che abbiamo pensato di portare in tutta Italia. Siamo credenti, seguiamo i bambini di donne vittime della tratta, che hanno avuto il coraggio di partorire, sfidando vittime e torturatori. Abbiamo un progetto sugli slum di Nairobi, dove le donne più fortunate si prostituiscono, sniffano le colle. Cerchiamo di salvare i bambini, di avviarli a un lavoro. E siamo stati a lungo impegnati in Operation Smile, insieme al medico reggino Domenico Scopelliti, che va in giro per il mondo a operare piccoli con malformazioni facciali. Ora è volontario per Smile House, premiato alla Camera”.
Santo Versace, lei è stato anche parlamentare. Ha lottato invano perché passasse l’aggravante dell’omofobia.
“Non è un periodo che racconto con grande piacere. Mi sembrava di perdere molto tempo. E fortuna che il numero degli onorevoli è stato ridotto. Preferisco la politica dei gesti concreti e delle imprese sane”.
Che cosa vorrebbe dire agli studenti che sono venuti ad ascoltarla?
“Sognate pure, ma svegliatevi la mattina. Ricordatevi che siete reggini, calabresi prima di tutto. Siate ottimisti. Costruite il vostro futuro senza dimenticare l’etica, senza calpestare nessuno”.
Applausi.
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