Samuel: «Il capitalismo ha fallito, ci sentiamo più soli. Nel clubbing sopravvive la voglia di incontrarsi»
In equilibrio tra culture club e songwriting esistenziale. Tra slanci clubbing e introspezioni malinconiche. Tra la cassa dritta e una scrittura lirica potente. Come un tessuto (sonoro) che fonde insieme materiali (o meglio, atmosfere) differenti. Il progetto si chiama Maree, il sarto è Samuel Romano, ma basta Samuel, il frontman dei Subsonica al terzo album in studio da solista, il primo insieme all’etichetta indipendente Asian Fake. Un disco elettronico e visionario che – appunto – fa ballare e riflettere, che parte dal dancefloor e attraversa il pop più estremo, il cantautorato, la techno. «È un viaggio che chiude un ciclo e ne apre un altro», ha affermato l’artista torinese. «Dove ogni suono è un’onda che riporta alle radici».
A proposito di onde, «non è un caso che Maree sia stato concepito a Venezia, dove passo le primavere e le estati negli ultimi cinque anni», ha spiegato ancora Samuel. «Una città che mi ha fatto esplodere dentro un’emotività incredibile e mi ha permesso di entrare in un ritmo diverso». È proprio il ritmo l’elemento centrale di questo album, «più importante sia dell’armonia che dei testi, perché tiene tutto in equilibrio, con il calore delle percussioni che cambiano la percezione delle melodie scure». Anche se, come confessato dallo stesso cantante, le liriche qui hanno un peso enorme. «È vero, dico cose importanti. Ma è fondamentale che le parole funzionino insieme al ritmo, come uno strumento che si muove sulla traccia senza dar fastidio».
Tra le tracce, dieci in totale, spicca Sogno Padano, che racconta l’alienazione del sogno del capitalismo. «Dal secondo dopoguerra ci siamo costruiti l’idea che la ricchezza era il luogo dove stare bene, in realtà stiamo peggio di prima», ha sottolineato. «Il concetto di capitalismo penso sia fallito, ha reso le persone più sole, tristi e depresse. Si parla di far finire le guerre, ma alla fine serve portarle avanti per vendere le armi, i motivi dei conflitti ora sono evidenti a tutti», ha aggiunto, introducendo poi Preghiera, la canzone che chiude il disco, incentrata proprio sulla guerra e sulla tendenza sempre più spasmodica di farci business. «Durante i bombardamenti in Iraq, nel 2003, non c’era la copertura mediatica di oggi».
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