Saman Abbas, la Corte d’Appello condanna all’ergastolo i genitori e i cugini della ragazza uccisa. 22 anni allo zio
Una sentenza esemplare, perché secondo i giudici Saman Abbas è stata uccisa da tutta la sua famiglia. La Corte di assise di appello di Bologna, presieduta da Domenico Stigliano, ha confermato l’ergastolo per i genitori, ha inflitto la stessa pena ai due cugini assolti in primo grado e ha rideterminato la pena per lo zio da 14 a 22 anni. Riconosciute anche le aggravanti di premeditazione e futili motivi. La 18enne pachistana è stata assassinata nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. La sua colpa? Essersi opposta a un matrimonio forzato.
La richiesta della Procura di Bologna – La Procura generale di Bologna aveva chiesto l’ergastolo per tutti i cinque imputati perché, a sentire i pm, la ragazza era stata di fatto “condannata a morte da tutta la famiglia”. Carcere a vita, quindi, per padre, madre, zio e i due cugini. Il 7 aprile scorso, concludendo la requisitoria la pg Silvia Marzocchi ha chiesto alla Corte una sentenza “che restituisca a Saman il ruolo di vittima di un’azione inumana e barbara, compiuta in esecuzione di una condanna a morte da parte di tutta la famiglia”. L’accusa aveva dunque sostenuto la sussistenza dei reati di omicidio e soppressione di cadavere con le aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili, arrivando alla richiesta dell’ergastolo con un anno di isolamento diurno per tutti e cinque i familiari della vittima. In primo grado la Corte di assise di Reggio Emilia aveva condannato all’ergastolo i due genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, assolvendoli dalla soppressione di cadavere, a 14 anni lo zio Danish Hasnain e aveva assolto e liberato i due cugini, Nomanhulaq Nomnhulaq e Ikram Ijaz. La 18enne pachistana fu assassinata nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, i suoi resti furono ritrovati solo nel novembre del 2022.
I ruoli dei parenti – Secondo l’accusa il fratello di Saman “dice la verità”, “sulle questioni fondamentali non si è mai contraddetto e non aveva nessun interesse a deporre contro i suoi familiari. L’esclusione della premeditazione – ha detto Marzocchi – ha attribuito al fratello di Saman un ruolo che non merita, cioè l’autore dell’innesco della lite da cui si sviluppa l’intento omicidiario. A noi non pare possibile che il fratello minore, 16enne, abbia avuto un ruolo consapevole in questa vicenda. Pensiamo – ha detto ancora la rappresentante dell’accusa – all’effetto devastante che ha avuto nella sua vita questa storia. I genitori lo hanno sacrificato, abbandonato in Italia e gli hanno comunicato solo dopo l’intenzione di lasciarlo con lo zio, venne costretto ad una fuga da clandestino”. E poi “tutti lo perseguitano, gli chiedono di raccontare, aggiustare, pretendono racconti che la sorella vive da qualche parte, di coprire le responsabilità, di scegliere tra una condanna per sé o dire la verità e incastrare loro. Gli è stato chiesto di immolarsi, un atteggiamento che non si può pretendere da nessuno”.
Le critiche – Le due rappresentanti dell’accusa, oltre a Marzocchi anche la pm reggiana Maria Rita Pantani, hanno criticato duramente la sentenza appellata: “Più parole avrebbero dovuto essere scritte per restituire l’inumanità, l’atrocità, il contesto e la modalità dell’uccisione di questa giovane ragazza, e meno parole erano necessarie, invece, rispetto a quelle che sono state scritte nella corposa motivazione, per valutare oggettivamente tutti i fatti e per comporli seguendo un ragionamento lineare, logico, rigoroso e rispettoso delle evidenze processuali”. Secondo la Procura generale la Corte di assise ha eliminato prove decisive, “travisando le dichiarazioni di testimoni, discostandosi dagli accertamenti peritali, fino a costruire”, dunque, “uno scenario che offusca la realtà, che è purtroppo più basilare, nella sua drammaticità”. Un esempio è l’interpretazione del video del 29 aprile, il giorno prima dell’omicidio, che mostra i due cugini e lo zio con in mano le pale. “Al di là di ogni ragionevole dubbio quel giorno hanno scavato la fossa, poi riempita il giorno dopo. Nessun altro lavoro venne loro commissionato”, ha detto Pantani, confutando un passaggio della sentenza di primo grado. Sullo scavo e le operazioni di sepoltura della ragazza si è concentrata anche l’audizione del perito archeologo forense Dominic Salsarola, l’ultimo testimone sentito in aula. A deporre il corpo di Saman dove è stata trovata il 18 novembre 2022 sono state come minimo due persone. Nelle sue dichiarazioni, lo zio Danish ha detto che a scavare furono i due cugini.
Source link