Roma, il Processo a Rodolfo Graziani, il “Macellaio del Fezzan”
Introduzione: da più parti si sostiene che un buon Racconto, per essere tale, debba iniziare dalla fine e dunque inizio a raccontare questa storia (meglio storiaccia) dalla sua fine.
Rodolfo Graziani e il Sacrario di Affile (RM)
Il Comune di Affile (RM) ha dedicato a Rodolfo Graziani un Sacrario nel Parco di Radimonte. Il Sacrario è stato inaugurato l’11 Agosto 2012.La sua costruzione e inaugurazione ha suscitato scalpore a livello nazionale ed internazionale. In Italia, la stampa nazionale ha raccontato l’intitolazione del Sacrario sottolineando i trascorsi di Graziani e le sue responsabilità storiche.
L’allora Sindaco di Affile, Ercole Viri, al il Fatto Quotidiano, che seguì la giornata celebrativa evidenziando i rilievi critici, lo indicò come: “Un esempio per i giovani“. L’altro aspetto sul quale si è concentrata l’attenzione della stampa è stato l’utilizzo di fondi pubblici (deliberati dalla Regione Lazio guidata al tempo da Renata Polverini) per la realizzazione dell’Opera, celebrativa di un gerarca fascista. Dopo un mese di mobilitazioni, guidate dall’ANPI, appelli e interrogazioni parlamentari[ che contestavano la scelta del Comune di Affile, scelta invece difesa dalla destra politica, la stampa nazionale si è più diffusamente occupata del risvolto storico-politico della questione.
Il 6 Novembre 2017, il Tribunale di Tivoli ha condannato ad una pena di otto mesi di reclusione il Sindaco di Affile, Ercole Viri, e due Assessori del Comune a sei mesi ciascuno, perché ritenuti colpevoli di apologia del fascismoper avere realizzato il Sacrario dedicato a Graziani[. Nel Processo era parte civile l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI). Il 14 Marzo 2019, la condanna è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma], per essere poi annullata dalla Corte di Cassazione il 26 Settembre 2020.
Va ancora ricordato che l’erogazione delle ultime tranche di fondi pubblici, deliberate dalla Giunta Regionale Polverini, furono bloccate dalla Giunta Regionale guidata da Nicola Zingaretti successivamente insediatasi e non più erogate.
*******
Un Processo (anzi due) ad un criminale di guerra

“Ho accettato di difendere Rodolfo Graziani anche per compiere un atto di coraggio. […]. Non ho esitato ad accettare il manato considerando che un rifiuto sarebbe stato un atto di codardia, contrario allo stile di tutta la mia vita e alla grande tradizione forense italiana, secondo la quale il patrocinio non è un privilegio, non è soltanto un diritto, ma è soprattutto un dovere, tanto più nobile quanto più triste” (Avvocato Giorgio Mastino Del Rio,1889-1969, antifascista ed ex detenuto nel Carcere tedesco di Via Tasso, combattente partigiano decorato di Medaglia D‘Argento al Valor Militare)
******
I romani “de’ Roma”, il vecchio Palazzo situato nei pressi di Piazza Cavour, sede prima dei Tribunali e poi come ora della Corte di Cassazione – realizzato, tra il 1889 e il 1911, dall’Architetto perugino Guglielmo Calderini, una delle maggiori Opere creata dopo la proclamazione di Roma come Capitale del Regno d’Italia (1870) – lo chiamavano (e lo chiamano ancora) “Er Palazzaccio”, con evidente disprezzo (ma era – ed è – secondo me solo paura) della funzione giudicante che in quell’Edificio si esplicava e ancora si esplica da parte dei Giudici, ora di quelli della cosiddetta “Suprema Corte” (ovvero la Corte di Cassazione).
In quel Palazzo, che affaccia su Piazza dei Tribunali (sulla medesima Piazza affaccia anche il Cinema Adriano, di cui si scriverà più avanti) dopo la liberazione della città (4 Giugno ’44) e alla fine della Seconda guerra mondiale, si terranno tutti i Processi delle Corti Straordinarie e/o Speciali di Giustizia,. istituite per la punizione dei crimini compiuti dai fascisti. Tra i quali, quello del 21 Settembre del 1944, a carico del Questore fascista di Roma, Pietro Caruso (sua la Lista dei 50 nomi richiesti da Kappler ai fascisti saloini per la strage delle Ardeatine (24 Marzo 1944) e confluita in quella dei 285 nominativi vergata da Kappller stesso) che si concluderà con la condanna a morte di Caruso, ma anche con il linciaggio, fuori del Tribunale, di Donato Carretta, l’ex Direttore del Carcere di Regina Coeli durante i 271 giorni di occupazione nazifascista della città.
Nota: sul Processo Caruso e il linciaggio di Donato Carretta, consiglio la lettura del bel Saggio dello Storico Gabriele Ranzato, intitolato “Il Linciaggio di Carretta, Roma 1944”, Editrice Il Saggiatore, 1997.
E ancora il Processo dell’11 Ottobre del 1948, aperto – per “alto tradimento” e “collaborazionismo” – nei confronti dell’ex Maresciallo D’Italia, Rodolfo Graziani (1882-1955) tra le altre cose Ministro della Difesa Nazionale e Comandante in Capo dell’Esercito della Repubblica Sociale Italiana, dal 28 Ottobre del 1943 fino alla Liberazione del Paese dal nazifascismo (o meglio fino alla sua spontanea consegna agli Americani, come prigioniero di guerra – ché i partigiani, se lo avessero catturato, lo avrebbero, di certo, ucciso sul posto – auto-consegna avvenuta il 29 Aprile del 1945, proprio mentre Mussolini e la Petacci venivano fucilati a Giulino di Mezzegra, Como, e poi condotti cadaveri a Piazzale Loreto, a Milano).
“L’Armata Liguria”
Dopo la liberazione di Roma del Giugno 1944 da parte degli Alleati e nel timore di uno sbarco nel Nord della Penisola, il Comando Supremo delle Forze Armate germaniche (OKW) ordinò una riorganizzazione delle Unità militari poste a difesa delle coste della Liguria. Il 31 Luglio 1944 fu così costituita la nuova “Armata Liguria” che avrebbe avuto come effettivi sia Unità militari tedesche già operative in Italia (come il LXXV. Armeekorps), sia Formazioni militari italiane dell’Esercito Nazionale Repubblicano della RSI che avevano terminato un periodo di addestramento in Germania, nei Campi di prigionia dove erano internati i militari italiani rastrellati dai tedeschi dopo l’8 Settembre del 1943.
Le prime Unità militari della Repubblica Sociale Italiana inquadrate nell’”Armata Liguria” furono la Divisione di Fanteria di Marina San Marco [il 1° Reggimento di Fanteria da Sbarco denominato “San Marco” combatté, invece, al fianco degli Alleati, anche sulla Linea Gotica] e la Divisione Alpina Monte Rosa, che assieme costituivano gran parte del nuovo Corpo D’Armata Lombardia. Al comando dell’”Armata Liguria” fu designato il Generale Rodolfo Graziani.
Quest’ultimo Processo (meglio il suo imputato) è l’oggetto di questa Nota, che nasce da un’interessante Podcast proposto, di recente, dalla giornalista del Quotidiano Domani, Giulia Merlo, all’interno della sua Serie intitolata: “Per Questi Motivi”. Il Podcast che si intitola: “Il Macellaio del Fezzan, Rodolfo Graziani”, è ascoltabile qui: giulia-merlo/episodes/Il-macellaio-del-Fezzan—Rodolfo-Graziani-e35voqp .
******
Quell’11 Ottobre 1948, un Lunedì, molta gente si radunerà davanti al “Palazzaccio” per vedere l’arrivo di Graziani, ma l’imputato era stato fatto entrare, alle 7,00 di mattina, da un ingresso laterale del Palazzo, dentro un’auto sotto scorta di quattro motociclisti della polizia e con un Camion di Carabinieri di rinforzo. Dentro, il Palazzo, Graziani venne chiuso in una cella separata da un muro dalle altre celle dei detenuti in attesa di giudizio.
Entrato in Aula, Graziani, si presenta, in borghese, con i suoi folti capelli bianchi, la camicia aperta sul petto e un fazzoletto rosso nel taschino della giacca, per la sua altezza sovrastava i due carabinieri che lo scortano. Rifiuterà una poltroncina e si siederà su una panca dietro la balaustra che sta davanti alla gabbia degli imputati. La stampa lo indicherà con il suo vecchio appellativo di “Leone di Neghelli”, ma Graziani, per il Pubblico Ministero che lo accusa (e non solo per lui) è solo un pluri-assassino a processo per avere incitato i militari italiani a passare nell’Esercito della RSI e avere collaborato attivamente con il tedesco invasore.
Un traditore e un collaborazionista dunque, peraltro difeso da ben tre Avvocati antifascisti: Giorgio Mastino Del Rio, Francesco Carnelutti e Giacomo Primo Augenti, cosa che scatenerà forti polemiche, ma – come nota Giulia Merlo nel suo Podcast – questione basica che rimanda al diritto alla difesa dovuto a tutti gli imputati e a norme di procedura processuale, nonché alla tenuta democratica dell’Italia appena uscita dalla dittatura fascista e dalla guerra voluta e condotta -da Mussolini e dal re savoiardo Vittorio Emanuele III – per un suo lungo tratto a braccetto con l’”alleato germanico”: un’Italia da pochi mesi non più monarchica, ma Repubblica Democratica e Costituzionale.
******
Se quel Processo è fortemente simbolico per la neonata Repubblica Italiana lo è anche per i fascisti (che non sono morti tutti il 25 Aprile del 1945 ma che, dopo un momento di sbandamento, si sono riorganizzati politicamente nel Movimento Sociale Italiano e siedono in Parlamento). I fascisti vedono in Rodolfo Graziani il prototipo del militare che si è battuto, con onore, per la Patria e lo difendono a spada tratta. Dieci giorni prima dell’inizio del Processo diversi fascisti sono arrestati, a Milano, mentre distribuiscono volantini pro-Graziani. A Roma, un comizio, richiesto dal neo-Deputato missino, Giorgio Almirante, è proibito. Si verificano violenti scontri tra fascisti e polizia con 40 feriti e 114 missini arrestati.
Poi, arriva l’11 Ottobre, giorno della prima udienza del processo al gerarca fascista e sono passati esattamente 5 anni e 15 giorni dal “famoso” discorso tenuto al Cinema Adriano di Roma (di fronte al quale sorge il “Palazzaccio”) in cui Graziani, ex Maresciallo D’Italia, Marchese di Neghelli e Vice-re D’Etiopia, ma in quel momento solo Ministro della Difesa Nazionale e Comandante in Capo dell’Esercito fascista di Salò (dopo avere accettato la richiesta che gli arrivava dallo stesso Mussolini e avere lasciato – novello Cincinnato – la cura dei suoi terreni agricoli di Arcinazzo, dove si era ritirato dopo la sconfitta africana del 1941 e la destituzione da Maresciallo D’Italia, ordinata dallo stesso Mussolini) chiede – con veemenza e convinzione – ai 4mila Ufficiali presenti in quel Cinema romano – di tradire il giuramento fatto al Re e di passare a combattere con lui, Mussolini e Pavolini nella RSI, così riprendendo il combattimento a fianco dell’”alleato germanico” per ri-cacciare l’odiato nemico anglosassone sulle sponde africane.
Graziani viene giudicato da una Corte D’Assiste Speciale o Straordinaria, composta da due Giudici togati e da cinque Giudici popolari, estratti a sorte, e che, secondo la Legge, dovevano essere “di illibata dirittura morale e politica” con le seguenti imputazioni: “Per avere, dopo l’8 Settembre 1943 e fino al Maggio del 1945, in Roma e nei territori dell’Italia del Nord, commesso delitti contro la fedeltà dello Stato, collaborando con il tedesco invasore. E ciò col farsi animatore, organizzatore e capo dell’Esercito dei rinnegati e traditori al soldo del Governo fascista repubblicano e con l’assumere la carica di Ministro per la Difesa Nazionale dello stesso Governo ed emanando, in tale qualità, ordini di rastrellamento e Bandi con minaccia di pene terroristiche, disponendo rastrellamenti sistematici, reprimendo con le armi ogni attività dei Patrioti contro i tedeschi, facendo così affrontare alle truppe da lui comandate, e fino alla disfatta, combattimenti di una guerra fratricida contro gli italiani.”.
E subito all’inizio del Dibattimento, si palesa l’irruenza dell’imputato e il suo carattere fumantino con il quale Graziani impone ai sui legali di rinunciare ad ogni eccezione preliminare. Tre sono quelle fondamentali presentate dal Collegio di difesa: 1. La non specificità delle imputazioni mosse all’imputato che impedirebbero alla difesa una loro puntuale contestazione (successivamente, i capi d’accusa verranno modificati meglio specificandoli). 2. La non competenza della Corte D’Assise Speciale a giudicare l’imputato che, essendo un militare, deve essere giudicato da un Tribunale Militare. 3. La non retroattività delle Leggi speciali, emanate nel 1944, che puniscono i crimini fascisti, dato che per essere giudiziariamente contestabile un reato deve essere tale al momento in cui l’imputato lo commette.
Dopo che Graziani ha rivendicato il suo operato e la sua qualità di Capo dell’Esercito della RSI e si è dichiarato contento di “essere giudicato dal Popolo italiano”, i suoi legali rinunciano a tutte le eccezioni presentate, tranne che a quella che riguarda l’incompetenza della Corte D’Assise Speciale a Giudicare l’imputato.
Ma mentre fuori del “Palazzaccio” va in scena una classica e si dice splendida ottobrata romana, dentro l’Aula si fa pesante, mentre prende la parola Graziani e fa un lungo e particolareggiato excursus della sua vita militare, intervento che tutti ascoltano in silenzio (con qualcuno che – come racconteranno le cronache giornalistiche dell’epoca – cade tra le braccia di Morfeo).
Quello di Graziani sembra l’intervento del condottiero militare ancora in sella e non la testimonianza a discolpa di un imputato e quella Corte di Giustizia antifascista sembra piuttosto un Tribunale saloino in cui gli imputati sono altri e non il vecchio Generale assassino, criminale di guerra, traditore e collaborazionista.
Ma poi, alla Presidenza della Corte D’Assise Straordinaria arriva una lettera firmata Ferruccio Parri (nome di battaglia “Maurizio”) al tempo Presidente del Consiglio dei Ministri e Capo del Governo repubblicano; una Lettera durissima che rimprovera ai Giudici la loro tranquilla condiscendenza alla difesa dell’imputato e alle sue concioni piene di menzogne e soprattutto contiene la descrizione particolareggiata delle molte nefandezze targate Graziani e la disponibilità di Parri stesso a testimoniarle in quanto – come si direbbe oggi – “persona informata dei fatti”. E così, il 2 Novembre del 1948, Ferruccio Parri, il Compagno Maurizio, entra nell’Aula del Tribunale e siede davanti a Graziani. E con lui, in quell’Aula entra, finalmente, la Resistenza antifascista.
Nelle tre udienze durante le quali Parri viene ascoltato, lo scontro verbale tra lui e Graziani si fa aspro. Sono a confronto due Italie, due diverse concezioni del mondo che si sono scontrate, in armi, e quella rappresentata da Rodolfo Graziani ha perso, anche se il criminale fascista non vuole ammetterlo. Parri dice che l’Esercito di Salò è nato solo perché al comando c’era Graziani; che i Partigiani volevano cacciare il tedesco occupante, ma si sono trovati davanti i fascisti di Salò in armi e li hanno combattuti. Maurizio cita i Bandi fascisti, con la pena di morte ai Partigiani, ai renitenti alla leva obbligatoria fascista e a chi li aiuta; cita i rastrellamenti operati dai fascisti, a volte da soli e a volte con i tedeschi e cita ancora le impiccagioni di partigiani e le stragi nazifasciste.
La testimonianza di Parri si conclude con un’affermazione categorica: “l’Armata Liguria era specificamente destinata alla repressione antipartigiana”. Dopo Maurizio, sfileranno in Aula molti Capi Partigiani a specificare fatti e situazioni, a particolareggiarli, a fare nomi e cognomi dei fascisti assassini e dei partigiani assassinati, con il conto delle vittime.
Dopo quelle testimonianze (siamo nel Febbraio 1949) l’aria per Graziani si fa pesante e così il “Leone di Neghelli” lascia la parola ai suoi difensori che tornano sull’unica eccezione procedurale che non hanno ritirato: l’incompetenza della Corte D’Assiste Straordinaria a giudicare Graziani essendo lui un militare (e dunque essendo – per legge – competente il Tribunale Militare).
DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 12 Aprile 1946, n. 201
Testo delle disposizioni per la punizione dei delitti fascisti e per la repressione di alcune attività fasciste. (GU Serie Generale n.98 del 27-04-1946)
Omissis
Art. 2.
“La cognizione dei delitti menzionati nell’art. 1, è di competenza del Pretore, del Tribunale e delle Sezioni Speciali di Corte di Assise, secondo le norme ordinarie di procedura. E’ esclusa la competenza dei Tribunali militari e non si applicano gli articoli 49 e 50 del Codice di procedura penale Tuttavia, qualora si presentino questioni che, implicando un giudizio di carattere militare, influiscano sulla decisione, la cognizione dei delitti è devoluta al Tribunale militare competente.”
Omissis
Il 26 Febbraio 1949 – nonostante le obiezioni all’eccezione degli Avvocati difensori di Graziani, mosse dalla Procura Generale – la Corte D’Assise Straordinaria – in applicazione dell’Articolo 2 del D.L.L. n.201/’46 – dichiara la sua incompetenza a procedere nel Dibattimento e rimette gli Atti alla Procura Militare Territoriale di Roma.
Occorre qui ricordare che – appena una settimana prima di quella Pronuncia di incompetenza della Corte D’Assise Speciale romana – era stato scarcerato Junio Valerio Borghese, il Comandante della X^ MAS – Reparto militare inquadrato nei ranghi dell’Esercito dei Salò ma in nome del quale Borghese aveva sottoscritto un Accordo militare di alleanza con i tedeschi – accusato e condannato dolo per “collaborazionismo” ma che – grazie all’Amnistia che porta la firma dell’allora Ministro Guardasigilli Palmiro Togliatti, non sconterà nemmeno un giorno di galera, dopo la scarcerazione, essendo la pena residua già scontata in regime di carcerazione preventiva. Dunque, il Processo a Graziani ripartirà da zero e riguarderà solo i fatti accaduti dopo l’8 Settembre del 1943, meglio accaduti a far data dal 24 Settembre di quell’anno, giorno in cui Graziani aveva accettato la carica di Ministro della Diesa Nazionale della RSI.
Alla fine di quel Processo militare al quale stavolta Graziani assiste in divisa militare con appuntati i nastrini delle sue decorazioni e ringrazierà i Giudici – che sono suoi parigrado – e capiscono di cose militari per giudicarlo così contraddicendo, palesemente, quanto aveva invece dichiarato nell’Aula del “Palazzaccio” all’inizio del primo Processo.
Al termine di quel secondo Processo, nonostante le arringhe appassionate dei suoi difensori, a chiuderle sarà Mastino Del Rio, Graziani sarà condannato a 19 anni di carcere per “collaborazionismo” e invece sarà assolto dall’accusa di avere utilizzato le sue truppe contro le Formazioni Partigiane. Il Tribunale però gli condona 13 anni e otto mesi di carcere, in virtù delle ferite riportate nell’attentato di Addis Abeba e delle sue decorazioni militari.
Va qui ricordato che il Codice penale Militare di Guerra prevede che le condanne penali inflitte ai militari decorati e/o che abbiano riportato gravi ferite per cause di guerra, non possono superare i 20 anni di carcere.
Dunque, scontata la pena residua di sei mesi, in un Reparto dell’Ospedale Militare romano del Celio, Graziani viene rimesso in libertà. La prima cosa che fa, da uomo libero, è quella di leggere tutti i giornali che hanno scritto di lui durante i due Processi e di querelare il Quotidiano romano Paese Sera che lo aveva – in un corsivo – rappresentato mentre parla con la moglie per scegliere il luogo di villeggiatura, scelta difficile, perché in ognuno dei luoghi presi in considerazione dai coniugi, Graziani ha ucciso dei partigiani. L’estensore del corsivo, che si firma Benelux, era in realtà Gianni Rodari.
Contraddicendo quanto aveva dichiarato all’uscita dal Celio, ovvero di volersi occupare, in pace, dei fatti suoi, Graziani tornerà, invece, a fare politica nei ranghi del Movimento Sociale Italiano, Partito al quale si iscriverà nel 1952, divenendone Presidente onorario l’anno successivo, e che lascerà appena sei mesi dopo per dissidi con la dirigenza, palesando ancora una volta, il suo carattere collerico e fumantino. Rodolfo Graziani morirà a Roma, l’11 Gennaio del 1955.
Quando si dice: “chiudere in bellezza”
Nel 1953, Graziani avviò una causa legale con richiesta di sequestro del film Anni facili, Film del 1953 diretto dal regista Luigi Zampa e realizzato su soggetto di Vitaliano Brancati, ritenendo che alcune scene della pellicola lo deridessero.
Le foto presenti su abitarearoma.it sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo alla redazione che le rimuoverà.
Source link