Roby Facchinetti: «La paternità per me è il vero senso della vita. Ai nostri figli stiamo regalando un mondo dove non c’è speranza, ma mi fido delle nuove generazioni»
Prima ha detto che nell’opera verrà affrontato il tema della paternità. Lei è padre di cinque figli, avuti in momenti diversi della sua vita. Cos’è la paternità per lei?
«La paternità per me è il vero senso della vita, uno dei ruoli più belli che noi possiamo avere nel nostro percorso di vita. Io sono cresciuto in una famiglia molto numerosa, sono il primo di cinque fratelli: il concetto di famiglia per me è sempre stato molto presente e profondo».
Lei è credente?
«Ammetto che a causa dei limiti dell’uomo, è difficile accettare che possa esistere qualcosa al di sopra di noi. Io credo che esista qualcosa, ne sono convinto. Sono cresciuto in una famiglia di cattolici credenti e praticanti, ho una zia suora, un fratello che è andato per quattro anni in seminario. Mio padre aveva la gestione di una chiesetta del Quattrocento ad Astino, un borgo di Bergamo dove sono nato io. Ogni domenica mattina durante la messa, quando avevo sei anni aiutavo mio padre a suonare le campane e a 13 cominciai a fare il chierichetto. Sono convinto inoltre, che fare musica è un po’ come parlare con Dio: quando ascoltiamo un brano che ci evoca dei momenti importanti della nostra vita, inconsapevolmente ci commoviamo. La commozione non la puoi comandare, appartiene all’istinto. Questo è il potere e la magia che ha la musica, trasmettere qualcosa di più profondo».
La sua famiglia le ha trasmesso anche l’amore per la musica…
«Mio nonno era un musicista, un compositore, molto religioso, scrisse anche una messa cantata, e trasmise a mia madre il grande amore per la musica. Io l’ho scoperta quando ero un ragazzino, avevo circa cinque-sei anni: ascoltavo alcuni brani e mi emozionavo. Proprio perché mi faceva sentire così, secondo me la musica mi voleva bene. Sai, i bambini sono molto pragmatici, vogliono bene alle persone che li amano, hanno l’arte di meravigliarsi. Noi grandi invece, con il tempo diventiamo aridi e avidi. Diamo importanza ad alcune cose inutili, mentre quelle importanti ci sfuggono. Invece dovremmo imparare dai più piccoli».
Nella società di oggi, dove una delle più grandi dipendenze dei giovani sono Internet e i social network, cosa crede sia importante nell’educazione dei propri figli?
«Nella mia opinione, i social non insegnano, creano solo un mondo che non esiste, perfetto, senza problemi, perché è quello che ti crei tu stesso, a tuo uso e consumo. Questo va a scontrarsi con la realtà che invece è tutta un’altra cosa. Qualche giorno fa ho parlato con una mia amica, una dottoressa che lavora nell’ospedale di Bergamo: mi ha detto che mai come in questi ultimi anni sono aumentati i ragazzi che vivono un disagio interiore personale e tutto ciò è dovuto anche al mondo in cui viviamo. Ai nostri figli stiamo regalando un mondo dove non c’è speranza, non c’è possibilità di futuro. Sono molto fiducioso invece, per le nuove generazioni, di cui fanno parte anche i miei nipoti. Amano la natura, amano la diversità e l’inclusione. È importante capire queste cose già da piccoli, perché il mondo è di tutti, il sole quando nasce è per tutti».
Nel 2026 ci sarà un meraviglioso traguardo dei Pooh: i 60 anni di carriera. C’è già qualcosa nell’aria per questa celebrazione?
«Certamente! Qualcosa di straordinario, è un traguardo che merita tutto e di più. Ma purtroppo non posso anticipare nulla, altrimenti mi ritroverei Red Canzian e Dodi Battaglia a protestare durante la notte sotto casa!».
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