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Rino Gattuso è il nuovo ct dell’Italia

Fratelli d’Italia, l’Italia (disperata) chiamò. È Rino Gattuso il nuovo c.t. della nazionale: la notizia è circolata ovunque, manca solo l’ufficializzazione. Sostituisce Luciano Spalletti, esonerato dopo il vergognoso tonfo in Norvegia (3-0) che ha pregiudicato il cammino degli azzurri verso il Mondiale del 2026.

Rino Gattuso arriva dopo il «no» di Claudio Ranieri, il «Papa laico» che sembrava destinato alla panchina dell’Italia – c’era già un accordo – ma che ha rifiutato con un whatsapp: preferisce rimanere alla Roma, dove ha chiuso la sua carriera di allenatore e sta per cominciare quella dirigenziale.

La FIGC, nelle ore dove regnava la confusione, aveva contattato anche Stefano Pioli, che però si era già promesso alla Fiorentina, aveva sondato la possibilità di un clamoroso ritorno di Roberto Mancini e valutato altri profili come Fabio Cannavaro e Daniele De Rossi, tutti riferibili ai «ragazzi del 2006», ovvero gli azzurri campioni del mondo in Germania. Un vero e proprio casting, a conferma che la Nazionale ha perso l’appeal di un tempo. Il progetto che vede Gattuso c.t. e Cesare Prandelli d.t. di tutte le squadre dell’Italia, si chiama – con un’enfasi che pare un pelino esagerata visto il momento – «Azzurri per l’azzurro».

Chi è Gattuso

Gennaro Gattuso detto Rino e soprannominato Ringhio, 47 anni, calabrese di Corigliano, sposato con due figli, ha fatto dell’umiltà e della tenacia il piedistallo della sua straordinaria carriera da calciatore, trascorsa quasi tutta nel Milan, e impreziosita dal trionfo di Berlino, per l’appunto nel 2006, quando l’Italia di Lippi vinse la coppa del mondo. La personalità, il carisma, la tigna sono le caratteristiche che portava in dote da calciatore e che in questi anni hanno scontornato la sua figura di allenatore. Ma la nuova vita in panchina ha raccontato un’altra verità. Il percorso di Gattuso è infatti costellato di passaggi a vuoto.

Dopo la gavetta nelle categorie minori e nella periferia del calcio (esonerato a Sion e Palermo, dimessosi a Creta), Gattuso ha raccolto la prima – e unica – soddisfazione della sua carriera quando ha portato il Pisa dalla Serie C alla Serie B. Succedeva dieci anni fa. Da allora le gratificazioni sono state davvero pochissime. Ringhio ha allenato per un biennio ciascuno due club dell’élite del nostro calcio, Milan e Napoli, senza tuttavia mai riuscire a centrare la qualificazione in Champions League. Il miglior risultato è stato, in entrambi i club, un 5° posto. Non gli è andata meglio all’estero. Dimenticabile la sua esperienza al Valencia (rescissione del contratto), così come un salto nel buio è stata la tappa al Marsiglia (esonerato). Nell’ultima stagione ha allenato l’Hajduk di Spalato, piazzandosi al 3° posto nel non irresistibile campionato croato e mancando così ancora la qualificazione alla Champions.

La narrazione che da sempre accompagna Ringhio unisce alle indiscutibili doti umane tutta una retorica che rimanda alla «maglia sudata», alla grinta di chi «sputa sangue», alla ferocia con cui si affronta ogni situazione di gioco. Chissà se tutto questo potrà risultare di utilità ad un gruppo, quello attuale, che certamente ha un concetto vago dell’identità azzurra ma che anche, suo malgrado, è povero da un punto di vista della qualità tecnica e della caratura internazionale. L’Italia oggi vanta un solo campione certificato, il portiere Gigio Donnarumma.

Il resto della squadra galleggia in un’aurea mediocrità, con qualche buon giocatore (Barella, Tonali) e una maggioranza di onesti mestieranti che non troverebbero spazio nelle prime cinque-sei nazionali del mondo. E’ con questi ragazzi che il nuovo c.t. dovrà fare i conti. La candidatura di Gattuso è stata sostenuta da Gigi Buffon, capo delegazione dell’Italia e suo ex compagno di squadra in nazionale. A corredo dell’arrivo del nuovo c.t. sono stati “arruolati” anche Bonucci, che affiancherà Gattuso nel lavoro sul campo, Zambrotta e Perrotta, forse anche Barzagli. Ex azzurri utili – nelle intenzioni – a ricreare un clima di appartenenza.

La strada è in salita, il cammino verso il Mondiale del 2026 – nonostante l’allargamento da 32 a 48 squadre – sarà una rincorsa, l’obiettivo play off si manifesta come un traguardo. Non mancheranno gli affanni e i tormenti. Il rischio che l’Italia toppi un altro Mondiale – dopo le mancate qualificazioni a Russia 2018 e Qatar 2022 – è un’ipotesi da prendere in seria considerazione.


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