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Rilke, ovvero la struggente e dolorosa bellezza del mondo (traduzione di Antonio Devicienti)

Rainer Maria Rilke (Praga, 1875 – Muzot, 1926) è uno dei maggiori poeti del Novecento; la sua opera è studiata, interpretata e riconosciuta quale uno dei punti di riferimento per la poesia contemporanea. La sua vita è stata caratterizzata dai molti viaggi e dagli assai numerosi contatti personali testimoniati, tra l’altro, da una vastissima, appassionante corrispondenza.

Le Nuove poesie (1907/1908), le Elegie di Duino e i Sonetti a Orfeo (pubblicati entrambi nel 1923) sono tra i vertici dell’opera poetica rilkiana ed è proprio dalle Nuove poesie che ho scelto testi capaci, pur nel loro esiguo numero, di suggerire l’idea di una scrittura in poesia raffinatissima, ma non narcisistica, nutrita da una tensione alla bellezza non scevra da angoscia esistenziale e, al contempo, piena di amore per il mondo e per le sue creature.

D.

***

Canto d’amore
Come posso trattenere la mia anima dallo
sfiorare la tua? Come posso
sollevarla al di là di te, verso altre cose?
Ah, accoglierla vorrei vicino a un qualcosa
perduto nel buio in luogo estraneo e silenzioso che
non continui a oscillare quando tu nel tuo profondo oscilli.
Ma tutto quello che ci sfiora, te e me,
ci unisce come un tocco d’archetto
che trae un solo suono da due corde.
Su quale strumento siamo tesi?
E chi è il musicista che ci tiene tra le mani?
Oh dolce canto.

*

L’orto degli ulivi
Salì sotto le grigie fronde
tutte grigie e diradate nell’orto degli ulivi
e sprofondò la sua fronte piena di polvere
nella polverosità delle mani bollenti.

Dopo tutto – ora questo. E questa è stata la fine.
Ora devo andare mentre divento cieco –
e perché vuoi ch’io dica
che Tu sei – se io stesso non Ti trovo più?

Non Ti trovo più. Non in me, no.
Non negli altri. Non in questo sasso.
Non Ti trovo più. Sono solo.

Sono solo con la sofferenza d’ogni umano
che cominciai ad alleviare attraverso di Te,
Tu che non sei. Oh vergogna senza nome…

Più tardi si raccontò che fosse venuto un angelo –

perché un angelo? Ah, venne la notte
e indifferente disfogliò gli alberi.
I discepoli si sfiorarono nei loro sogni.
Perché un angelo? Ah, venne la notte.

La notte che venne non era speciale:
così ne passano a centinaia.
Lì i cani dormono e lì stanno le pietre.
Ah, una triste, ah una qualunque
che aspetta finché non sia di nuovo giorno.

Ché gli angeli non vengono da chi prega così
e le notti non gli diventano grandi intorno.
Ogni cosa abbandona coloro che si pérdono
ed essi sono traditi dai padri
ed esclusi dal grembo materno.

*

La pantera
Jardin des Plantes, Parigi
Il suo sguardo si è tanto stancato
di spingersi oltre le sbarre: non trattiene più nulla.
Gli sembra ci siano mille sbarre
e dietro le mille sbarre: nessun mondo.

La morbida, elegante andatura dei forti passi
che ruota in cerchi sempre più stretti
è come danza d’una forza intorno a un centro
in cui – stordita – sta una volontà possente.

Solo qualche volta si solleva silenziosa la cortina
davanti alla pupilla – allora entra un’immagine,
attraversa la tesa calma delle membra –
e dentro il cuore smette d’esistere.
(Settembre 1903)

*

Il cigno
Questa fatica pesante e come incatenata
di attraversare il non ancora fatto
somiglia all’irrisolta andatura del cigno.

E il morire, questo non-più-afferrare
il terreno su cui quotidianamente stiamo,
al suo ansioso lasciarsi andare

nelle acque che dolcemente lo accolgono
e che, come felici e trascorse,
sotto di lui si riuniscono, onda intorno a onda;

mentr’egli infinitamente calmo e sicuro
sempre più sovrano e regale
e più tranquillo si adagia nell’andare.

*

L’ortensia blu
Così come l’ultimo verde nei barattoli di colore
sono queste foglie, rasciugate, opache e ruvide
dietro le infiorescenze che non recano
su di sé alcun blu, solo da lontano lo rispecchiano.

Lo rispecchiano slavato e indefinito
come lo volessero perdere di nuovo
e come in vecchie carte da lettera
c’è in esse del giallo, del violetto e del grigio;

slavato come sul grembiule di un bimbo
non più indossato cui nulla più accade:
come si percepisce la brevità di una piccola vita?

Ma improvviso il blu sembra rinnovarsi
dentro una delle infiorescenze e si vede
commovente il blu rallegrarsi davanti al verde.

*

Torso arcaico di Apollo
Non conosciamo la sua inaudita testa
in cui maturavano le pupille. Ma
il torso arde ancora come un candelabro
dove il suo guardare, soltanto volto all’indietro,

si trattiene e risplende. Altrimenti la prua
del petto non potrebbe abbagliarti e nel silenzioso girare
dei lombi un sorriso non potrebbe scorrere
verso quel centro dov’era il sesso.

Altrimenti questa pietra starebbe deforme e piccola
sotto la trasparente architrave delle spalle
e non brillerebbe come il vello di un predatore;

e non irraggerebbe da tutti i lati
come una stella: ché qui non c’è alcun luogo
che non ti veda. Tu devi cambiare la tua vita.


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