«Riceci bis non passerà mai». Così il popolo anti-discarica si prepara a nuove barricate
PETRIANO Tempo di fare due passi e i piedi quasi sprofondano in quella che sembra essere argilla. Su Riceci splende un solleone ma appena qualche centimetro a sinistra del crinale asfaltato che affaccia sulla discarica il terreno è melmoso, come avesse piovuto di continuo per ore. Il dettaglio salta immediatamente all’occhio, ma può stupire solo chi non conosce questa terra e le sue valli, che si srotolano per chilometri fino a un cupolone più alto degli altri. «Proprio lì c’è Urbino, patrimonio dell’Unesco» fanno notare cittadini e attivisti del luogo. A separarla da noi ci sono non più di 8 km in linea d’aria; sotto di noi l’insenatura naturale che è stata designata a ospitare, suo malgrado, una discarica da 200mila tonnellate di rifiuti all’anno, per i prossimi 25 anni.
Le voci in un solo senso
Si capisce subito che da queste parti è difficile trovare voci fuori dal coro sul tema discarica, perché chi parla lo fa apertamente e molto duramente, contro il Comune di Pesaro, la Regione Marche, i vari uomini al comando. Gli altri, semplicemente, non parlano, non si mostrano. Sono passati circa un paio d’anni da quando la comunità di Gallo di Petriano e dintorni, di qualche migliaio di anime, è stata informata che proprio lì, tra una collina e l’altra, ne sarebbe presto sorta una nuova, fatta di «rifiuti speciali non pericolosi». Mesi e mesi in cui il braccio di ferro tra attivisti e istituzioni è proceduto a intensità alterne, passando da momenti di dialogo persino proficuo – almeno in apparenza – ad altri in cui l’unica via percorribile è sembrata quella di un volo per Bruxelles, per portare l’istanza fino all’Europarlamento.
Piano in itinere
Oggi, con il Piano regionale dei rifiuti in itinere, mentre si fa strada la possibilità che il limite di distanza tra centri abitati e discariche sia ridotto da 1500 a 500 metri, assieme all’amarezza è impossibile non notare tra i volti di chi parla una buona dose di frustrazione, ma anche una rinnovata determinazione a non mollare il colpo perché nessuno si fida delle rassicurazioni sull’archiviazione del caso Riceci. «Ha piovuto ieri ed è stata una pioggerellina da niente, ma tanto basta per creare questo fango, perché qui è tutta argilla. E cosa succede quando fa una bomba d’acqua? Guardi, guardi laggiù», prosegue una delle ragazze munite di striscione anti-discarica, indicando con il dito uno strapiombo poco lontano: «Quella è una frana di poche settimane fa. Basta che piova forte per qualche ora e il terreno smette di drenare l’acqua. Non sarebbe già sufficiente a capire che qui una discarica a valle non ci può stare?».
Non cambiano i rischi
Si accodano decine di altre voci, ognuna impaziente di far conoscere una ragione in più per non concedere il via libera a un progetto che, al momento, è bloccato ma che potrebbe risorgere in una Riceci-bis, se il Tar si considerasse favorevole al ricorso presentato da Aurora, la società coinvolta nel progetto e con il 40% del capitale che fa riferimento a Mms. «Quello là è Montefabbri, uno dei borghi antichi più belli d’Italia» interviene un altro, indicando un’altura a poche centinaia di metri di distanza. «Chi tornerà a visitarlo, se ammirando il belvedere si ritroverà un cumulo da tonnellate di rifiuti?». E ancora, volgendo lo sguardo a un punto ben più vicino: «A Ponte Armellina ci vivono 11 famiglie, c’è un ristorante, un bar. Qualcuno ha pensato anche a loro mentre pontificava sulle distanze di sicurezza?».
Le bellezze de territorio
L’elenco è lungo. Si passa dalle Terme di Raffaello, unica struttura termale aperta nella provincia, alla collina sulla quale ci troviamo, che nel 1999 fu scelta dalla Regione Marche per girare uno spot con Dustin Hoffman. Da ultimo, un signore sulla sessantina ricorda che stiamo camminando al centro di uno dei principali distretti biologici d’Italia, dove oltre a prodotti ben rinomati come la Casciotta di Urbino non mancano anche vigneti e ulivi, gelosamente coltivati secondo natura. Tre minuti a piedi dal crinale affacciato su discarica e siamo di fronte ai suoi terreni: ci mostra i filari, ci racconta con orgoglio degli anni impiegati assieme alla moglie, socia in affari, a trovare il giusto equilibrio nella coltivazione, la fatica e la soddisfazione di rispettare i tempi e i dogmi del biologico. Poi torna al presente, che forse per la prima volta non gli permette di pensare realisticamente al futuro, a come far crescere concretamente la sua attività.
L’ultima battuta
«Una discarica di rifiuti a due passi da una coltivazione biologica, si capisce da sé, è una contraddizione che non potrà che colpirci a morte». Fa un cenno col capo e riprende il lavoro. Intanto il sole comincia lentamente a calare, segno per tutti che è ora di tornare al proprio privato, dopo un paio d’ore di confronto collettivo, l’ennesimo. L’ultima battuta, ci tiene, vuole darla un uomo sui quaranta con uno spiccato accento campano, già intervenuto raccontando la propria storia di emigrazione dal sud. «Ricordiamocelo sempre: la monnezza è ricchezza…». Abbassa lo sguardo e si dirige verso la sua auto. Poi si volta di nuovo e con un sorriso quasi bonario aggiunge: «Per pochi».