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Riccardo Cocciante: «Ho subito discriminazioni per il mio aspetto, avevo tanti complessi d’inferiorità perché sono piccolo»

Il suo più grande successo, in realtà, era nato come un fallimento. «Avevo già fatto due dischi di sperimentazione, poi ho registrato Anima ed è stato bocciato dalla casa discografica. Ero un po’ disperato. Poi mi invitano a fare un concerto in un piccolo teatro con Venditti e De Gregori. Non avevo niente da perdere: loro erano già grandi, io non avevo niente. Così faccio questo concerto che fu una rivelazione nell’ambiente: oltre a capire il mondo nuovo che si apriva con Francesco e Antonello, capirono anche me». Seduto in un ristorante di Milano, Riccardo Cocciante ritorna indietro con la memoria a cinquant’anni fa, alla genesi di Anima, il disco che racchiude pezzi storici come Bella senz’anima e Quando finisce un amore, che festeggerà il 29 settembre all’Arena di Verona. Una festa per celebrare un album dallo sviluppo travagliato, ma che poi si rivelerà un successo enorme. «In mezzo a questi due ci sono finito non so come e perché, non parlavo di politica. Ma anche io ero contestatario. Anche cantando in modo allegorico, avevo una proposta di rivolta verso l’epoca che cambiava. Così è venuta tutta la discografia a guardare me. Ricordo anche la Vanoni che voleva cantare Bella senz’anima».

Oggi, cinquant’anni dopo, all’Arena di Verona per festeggiare Anima: «In questo concerto non voglio basare tutto sull’orchestra. Voglio fare un passo indietro, come facevamo agli inizi della nostra carriera con le canzoni suonate, un po’ rock, con tante chitarre. Voglio tornare all’essenzialità pop-rock».

Per uno che sta sulla scena da cinquant’anni, i confronti tra presente e passato arrivano spontaneamente. E Cocciante non risparmia qualche critica: «Oggi c’è oggi troppa attenzione al look. Io sto attento ma non fai cose strambe solo perché vai sul palco. Vai sul palco perché sei tu. Ci vai perché hai una cosa da dire, non solo per far vedere la faccia o le gambe». Ogni riferimento ad artisti di oggi non è casuale ma non viene mai esplicitato. Anche quando parla di artisti di oggi con cui vorrebbe collaborare, Cocciante non fa nomi anche se «non li butto via tutti», ma certo i giovani sulla scena di oggi «dovrebbero essere guidati in maniera diversa». Di più: «Prima bisogna capire chi sei e poi farsi guidare. Si crea la moda andando a fare quello che si è. A volte i giovani artisti oggi non fanno quello che vorrebbero, perché sono guidati da persone che li portano a diventare un prodotto commerciabile». Sono lontani i tempi in cui ai giovani la discografia permetteva di «sbagliare uno o due dischi, e di sperimentare, per capire chi si era», perché si trattava di «artigianato artistico, non di industria come oggi». E quindi il richiamo all’essenzialità: «Bisognerebbe tornare indietro, a chi è l’artista, che è un diverso che si esprime».

Una condizione che Riccardo Cocciante ha sperimentato all’inizio della sua carriera: «Nel mio piccolo ho subito discriminazione anche io, perché ero troppo piccolo, non avevo il fisico del cantante. Ho sempre avuto grandi complessi di inferiorità. Mi vedevo troppo basso, non facevo quello che si doveva fare. Ero introverso per questo motivo, perché non ero omologato, ero convinto che non avrei potuto fare niente nella musica».

Cocciante torna poi a parlare del presente e del nostro Paese, e della condizione degli artisti in generale. «Trovo deplorevole che nel nostro Paese non ci sia una manifestazione come i Grammy, con una Academy ad assegnare i premi a tutte le categorie coinvolte nell’ambito musicale. Ci sono i Nastri d’argento e i David di Donatello per il cinema, ma per la musica non c’è niente. E il Festival di Sanremo non c’entra, quello è un concorso canoro che è un’altra cosa»


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