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Riapre l’Alcatraz italiana: non ci sono detenuti né alligatori, ma una nuova vita per le donne vittime di violenza

«In questa decisione sicuramente ha un ruolo il lascito e il vissuto di mia nonna Franca Rame, che nel 1973 fu rapita e violentata da quattro fascisti dietro commissione di un comando dei carabinieri. Le donne vittime di violenza hanno davvero bisogno di progetti che contribuiscano a una vera ricostruzione. Alcune di loro scappano di casa, si nascondono per un periodo in cui non hanno neanche il cellulare e dopo rischiano di tornare dall’ex compagno violento, banalmente perché non hanno alternative. Oppure dai genitori, dove c’è la possibilità che vengano colpevolizzate come donne che non hanno saputo tenersi il marito».

Consapevoli di questi scenari, Mattea e Stefano vogliono mettere a disposizione un luogo dove le donne, attraverso un lavoro dignitoso e attività formative, possano ricostruirsi con i loro tempi. Servizio di sala, cucina, ma anche produzione etica e trasformazione di prodotti agricoli e sartoriali sono solo alcune delle attività in cui potrebbero essere coinvolte. «Se l’offerta di lavoro per queste donne è solo la fabbrica notturna, ma io ho dei bambini piccoli, come faccio? Qui vogliamo creare un sistema, un circuito virtuoso nel quale abbiano un posto dove formarsi, lavorare e trovare un alloggio nelle vicinanze. E dove intravedere un futuro diverso».

Come funziona in pratica Kore de Alcatraz

Da un punto di vista pratico qui arrivano donne che sono state prese in carico dai Centri Anti Violenza. Non solo umbre, ma potenzialmente da tutta Italia. C’è come in tutti i lavori un colloquio e poi si avviano le pratiche per quello che tecnicamente viene chiamato inserimento lavorativo protetto. Una formula nella quale è insita anche una delicatezza e un rispetto – auspicabili in tutto il mondo del lavoro – superiori alla media: «se un giorno non riesci a lavorare, non ti puntiamo un fucile alla tempia», specifica Stefano.

«Purtroppo il sistema attuale ci porta a pensare che un datore di lavoro che ti permette di prenderti i tuoi tempi in caso di fragilità ti sta mentendo: te lo dice per poi licenziarti», prosegue Mattea. «Non siamo abituati a fidarci dell’altro al lavoro. Qui proviamo a mettere in pratica un altro modello: lavoriamo tutti per un obiettivo comune e chi lavora è prima di tutto una persona».

Riapre lAlcatraz italiana non ci sono detenuti n alligatori ma una nuova vita per le donne vittime di violenza

Gli scogli burocratici e le lungaggini non sono trascurabili, ma il progetto prosegue e agosto 2025 vedrà l’ingresso della prima donna vittima di violenza.

Quando chiediamo a Mattea Fo come si sente nel sapere che negli Stati Uniti ci sia un posto che porta lo stesso nome di quello della sua famiglia, ci osserva per qualche secondo con il suo sguardo denso di profondità e dolcezza e poi ci spiega che per lei «è allucinante. Però non possiamo mettere la testa sotto la sabbia, ma anzi dobbiamo impegnarci ancora di più a diffondere nel mondo energie buone, anche se siamo lontani: mi piace pensare che un battito di ali di farfalla in Umbria possa generare un uragano – positivo – dall’altra parte dell’oceano».


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