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Redistribuire il reddito in tempi di rivoluzione tecnologica

Oggi, in Occidente, il tema della redistribuzione del reddito suscita accesi dibattiti dal forte connotato ideologico – essenzialmente perché “redistribuire”, in questo contesto, implica in primo luogo tassare. Sarebbe quindi forse preferibile e meno conflittuale concentrarsi sulla distribuzione: ovvero su come creare condizioni che consentano a tutti di beneficiare della nuova ricchezza generata, nel momento in cui viene generata, senza doverla redistribuire forzosamente per via fiscale.

Il tema della distribuzione del reddito è stato centrale nelle teorie degli economisti classici, da Smith a Ricardo e oltre. Ricardo, ad esempio, analizzò il contrasto d’interessi tra le classi: celebre il dibattito sulle Corn Laws, le restrizioni all’importazione di cereali dall’Europa introdotte nel 1815, che per Ricardo avrebbero danneggiato sia i lavoratori, sia i proprietari delle fabbriche, aumentando la quota di reddito incamerata dai grandi proprietari terrieri.

Sembra ovvio domandarsi chi beneficerà dello sviluppo economico futuro. Eppure, oggi l’attenzione tende a focalizzarsi sulla crescita in quanto tale. L’implicazione è che promuovere la crescita economica sia sufficiente, perché ne beneficeranno tutti: la crescita sarebbe “un’onda di marea che solleva tutte le barche”, come affermò nel 1963 il presidente degli Stati Uniti, J.F. Kennedy. Purtroppo non è così, o perlomeno non vi è alcuna ragione, sulla base dell’evidenza storica, per sostenere che ciò accada nel breve o medio periodo. Tornando ai tempi di Ricardo, ovvero alla Prima Rivoluzione Industriale, oggi sappiamo che le classi lavoratrici dovettero attendere circa un secolo prima d’iniziare a beneficiare davvero del progresso.

La Rivoluzione Industriale è un ottimo esempio d’una fase di crescita economica, indotta da una profonda trasformazione tecnologica, che lasciò indietro, in tutto o in parte, larghi strati della popolazione per un periodo molto lungo. Siccome oggi ci troviamo forse all’inizio di una nuova rivoluzione tecnologica, innescata dall’intelligenza artificiale (IA), dobbiamo chiederci sotto quali condizioni possiamo attenderci un’equa distribuzione della nuova ricchezza che verrà creata. Per essere chiari, tali condizioni, al momento, mancano: la storia lo suggerisce con evidenza. Alla fine del XIX secolo, la Rivoluzione Industriale aveva finito per produrre una concentrazione della ricchezza senza precedenti, anche per la comparsa di grandi imprese o cartelli con ambizioni monopolistiche. A partire dagli Stati Uniti, si diffuse la preoccupazione di come difendere l’interesse dei consumatori dalla rapacità dei monopoli: di fatto, si riproponeva in forma nuova un contrasto di interessi, tra i lavoratori (che costituivano la maggioranza dei consumatori) e la ristretta élite economica che controllava gran parte del capitale industriale e finanziario. La soluzione fu il capostipite della moderna legislazione antimonopolistica, lo Sherman Act del 1890, approvato con un travolgente supporto bipartisan. Nei decenni successivi, tutti i principali monopoli furono frammentati forzosamente, per evitare che i benefici della crescita si concentrassero in pochissime mani.

Purtroppo, gli Stati Uniti di oggi non hanno le medesime preoccupazioni. Il punto di svolta fu il 2000, quando Microsoft, condannata per la violazione proprio dello Sherman Act, se la cavò quasi senza conseguenze. Si trattò d’un segnale chiaro per tutte le aspiranti “Big Tech”: erano libere di crescere sino a diventare di fatto dei monopolisti globali.


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