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Recensione Hyrule Warriors: L’era dell’esilio su Nintendo Switch 2: scopri se vale la pena



Recensione Hyrule Warriors: L’era dell’esilio

Di solito, quando si parla di seguiti, si dice che il primo capitolo è l’esordio, la scoperta, la scintilla che accende la curiosità. Il secondo serve a confermare, a migliorare, a dimostrare che non è stata tutta una strana coincidenza astrale. Ma è con il terzo capitolo che arriva la vera prova del fuoco, quella in cui bisogna reinventarsi, sorprendere, ricordare al pubblico perché ci siamo innamorati di quella saga la prima volta.

Caparezza canta che il secondo album è sempre il più difficile, ma in realtà il terzo lo è ancora di più, perché deve portare qualcosa di nuovo senza tradire ciò che è già stato costruito. Deve farci capire perché siamo ancora qui, pronti a tornare in quel mondo che conosciamo, ma che vogliamo vedere con occhi diversi. Questa è esattamente la domanda che ci poniamo ogni volta con il genere reiterativo dei Musou, di cui fa parte Hyrule Warriors: L’era dell’esilio, terzo capitolo di una saga spin-off di The Legend of Zelda, sviluppata da Koei Tecmo in collaborazione con Nintendo. Una serie che ha saputo declinare la formula in chiave zeldiana, trasformando le guerre d’Hyrule in spettacoli d’azione e battaglie su larga scala.

Solo che, con il terzo capitolo capitolo, vi anticipiamo che la rivoluzione non è arrivata: L’era dell’esilio sceglie una formula più classica e conservativa di quanto ci saremmo aspettati.

Scheda videogioco

  • Publisher
    Nintendo
  • Sviluppatore
    Koei Tecmo, AAA Games Studio
  • Genere
    Azione
  • Numero giocatori
    1-2 (Locale)
  • Lingua
    Doppiato in italiano
  • Disponibile su

Indice – Hyrule Warriors: L’era dell’esilio

Storia e narrazione

Partiamo subito da un nodo centrale, anche per farvi capire se il titolo può essere comprensibile anche ad un’utenza non avvezza. L’era dell’esilio ci proietta in un periodo nevralgico dell’universo di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, cioè il seguito di Breath of the Wild, in quanto va a raccontare gli eventi della cosiddetta “Guerra dell’Esilio”, ovvero quel conflitto fondante da cui scaturisce il potere demoniaco dell’antagonista Ganondorf e le radici del caos che vediamo, appunto, in Tears of the Kingdom. 

La protagonista è proprio Zelda, che, in questo capitolo, viene calata nel passato: torna indietro nel tempo, in un’Hyrule dilaniata dalla guerra, per scoprire da dove tutto è iniziato. Il cast include anche figure come il Re Raul, Mineru e la Regina Soniah, ognuna collegata al mito degli Zonau e dei poteri antichi che animano questa guerra.

Bene, se non state capendo nulla di quello che state leggendo, è meglio mettervi in guardia.

La narrazione è indubbiamente ambiziosa nel pretesto, anche perché canonica rispetto a quanto dipinto nel precedente L’era della calamità, e la produzione lo dimostra nei lunghi filmati con doppiaggio in italiano curatissimo. Ma è proprio qui che incuriosisce e al tempo stesso limita l’esperienza, in quanto il gioco ha un ritmo iniziale che fatica davvero tantissimo a ingranare. L’impressione è che ci sia troppo “raccontare” e troppo poco “giocare” all’inizio, dove i filmati hanno così la meglio sul gioco, che devono passare prima diverse ore prima che si apra davvero.

Un’altra nota importante: la storia si poggia moltissimo sulla conoscenza di Tears of the Kingdom. Se non si conoscono quelle dinamiche, la narrazione può risultare un po’ troppo repulsiva o almeno poco accessibile, anche perché le sequenze sono prolisse. L’alternanza tra filmato e gameplay poteva essere calibrato meglio, in special modo nella prima parte.

Gameplay, ritmo e struttura

L’era dell’esilio funziona però grosso modo come il suo predecessore, Hyrule Warriors: L’era della calamità. La formula di base è la stessa, poiché si presenta come un musou puro, con grandi battaglie, orde di nemici, missioni principali e secondarie che si alternano in un ritmo tutto sommato familiare per chi conosce il genere. 

La grande differenza, e in questo caso il grande merito, è che, rispetto al capitolo precedente, il gioco gira finalmente bene. Laddove L’era della calamità soffriva terribilmente nell’impatto tecnico su Nintendo Switch, qui, su Switch 2, il titolo è molto più stabile e fluido, con un frame rate piuttosto costante ed una pulizia visiva che rende l’esperienza decisamente più piacevole. Ma di questo parleremo meglio nel comparto tecnico.

Detto questo, è giusto chiarire che il gameplay non introduce rivoluzioni di alcun tipo. Chi sperava in un’evoluzione profonda, magari in linea con quanto fatto da Dynasty Warriors Origins, resterà probabilmente un po’ deluso, perché quelle migliorie qui non sono state applicate.

Si avanza, si conquistano accampamenti, si affrontano boss, e si ripete la formula fino al termine della campagna, con una varietà delle missioni ridotta all’osso.

Ci sono comunque delle piccole diversità che rendono l’esperienza, appunto, un pelino differente. Ad esempio, ora ci sono tante nuove abilità attive, che si eseguono con i dorsali e che condividono una ricarica comune, e possono essere potenziate o modificate durante l’avventura. Vengono introdotti poi gli accessori Zonau, oggetti legati agli elementi come fuoco o ghiaccio, che se utilizzati contro nemici vulnerabili a quell’elemento infliggono danni consistenti e danno accesso a mosse spettacolari. È possibile anche effettuare attacchi sincronizzati tra due personaggi quando la barra apposita è carica, momenti che risultano senz’altro molto coreografici: gli sviluppatori hanno realizzato così tante combinazioni che è davvero molto divertente scoprirli. 

Tra l’altro, si può passare da un eroe all’altro al volo e, anche se è possibile impartire qualche comando base agli alleati, la componente strategica rimane minima: tutto ciò che conta è sul campo, e lo si fa direttamente, con le proprie mani.

Il roster poi è composto da una ventina di personaggi, non moltissimi ma ben caratterizzati. Non tutti hanno lo stesso spazio nella trama, ma è comunque spassoso sperimentare le loro mosse e capacità in battaglia. Meno riuscite, invece, sono le sezioni aeree, in cui si controlla un misterioso golem dalle sembianze di Link in sequenze di volo su binari che ricordano vecchi sparatutto come Panzer Dragoon. Queste parti cercano di spezzare la ripetitività, ma finiscono per essere poco divertenti, e anzi piuttosto noiose.

Progressione e cooperativa

La struttura della progressione in Hyrule Warriors: L’era dell’esilio ricalca quasi perfettamente quella del precedente capitolo. Una volta terminato il prologo, ci si ritrova davanti alla classica mappa del mondo costellata di icone, che si moltiplicano man mano che si avanza nella storia. Alcune di queste rappresentano le missioni principali, altre invece corrispondono a sfide secondarie o piccoli incarichi che richiedono di consegnare determinati materiali. Completandoli, si ottengono nuovi servizi, risorse per potenziare i personaggi o miglioramenti alle loro statistiche, come più cuori, più potenza d’attacco, nuove abilità o reagenti per forgiare e potenziare le armi.

Di fatto, dunque, il gioco riprende integralmente la struttura del secondo capitolo, con piccoli aggiustamenti marginali. È una progressione che si apre lentamente, che ci mette più tempo a mostrare tutto il suo potenziale, ma che soprattutto non offre nulla di realmente nuovo. Anche la personalizzazione dei personaggi è minima: le possibilità di modificare o costruire uno stile di gioco unico sono poche, e soprattutto nelle prime ore il titolo non lascia molta libertà. Per lungo tempo, infatti, è il gioco stesso a decidere quali personaggi utilizzare nelle varie missioni, impedendo al giocatore di scegliere liberamente il proprio preferito. È un limite che si fa sentire, perché toglie una parte importante del divertimento che solitamente si trova nel genere Musou, dove poter cambiare stile e approccio fa gran parte del fascino.

Il discorso si complica ulteriormente quando si parla della modalità cooperativa locale. Abbiamo giocato L’era dell’esilio interamente in due, e l’esperienza è stata, come dire, a fasi alterne.

Nelle prime ore, il gioco tende a non permettere di affrontare tutte le missioni in coppia. Spesso, dopo una o due missioni cooperative, si viene costretti a giocare quella successiva da soli, con il secondo giocatore che deve letteralmente posare il controller. Questa alternanza, che dura per le prime quattro ore circa, spezza il ritmo e toglie fluidità all’esperienza, soprattutto perché parliamo di un titolo che, per natura, dà il meglio di sé in compagnia.

Un Musou è più divertente quando si affronta insieme a qualcun altro: ci si divide i compiti, si coprono più punti della mappa, si affrontano orde di nemici con strategie coordinate. Ma in L’era dell’esilio, questo potenziale viene valorizzato solo dopo parecchio tempo. Solo superata la prima parte della campagna, finalmente tutte le missioni diventano giocabili in due, e da quel momento il gioco inizia ad essere più gustoso, a stimolare di più.

C’è da dire che anche quando la cooperativa è pienamente disponibile, non tutto fila liscio. Nelle sezioni aeree, quelle in cui si controlla il golem, è vero che si può giocare in due, lo si apprezza, ma l’esperienza è sbilanciata: un giocatore controlla il movimento e le armi principali, mentre il secondo può solo sparare colpi secondari che risultano inutili. Anche qui si percepisce una certa superficialità nella progettazione della cooperativa, che avrebbe meritato maggiore attenzione.

Comparto tecnico, grafico e sonoro

Sicuramente l’aspetto più gradito di Hyrule Warriors: L’era dell’esilio è il fatto che, finalmente, il gioco giri bene. Dopo le incertezze e i rallentamenti che avevano afflitto L’era della calamità, qui Koei Tecmo è riuscita a offrire un’esperienza tecnicamente solida, merito anche della nuova piattaforma. Il titolo è disponibile solo su Nintendo Switch 2, e si vede: la fluidità è nettamente superiore, con un frame rate che si mantiene stabile attorno ai 60 fotogrammi al secondo nella maggior parte delle situazioni.

Anche nei momenti più concitati, con decine e decine di nemici a schermo, il gioco riesce a reggere piuttosto bene, e quando il frame rate cala, soprattutto in cooperativa e nelle missioni finali, lo fa in modo mai troppo fastidioso. Vederlo così stabile è, di per sé, una piccola vittoria.

Sia chiaro, dal punto di vista visivo, L’era dell’esilio non punta certo allo stupore. Gli scenari sono piuttosto spogli e si ripetono nelle loro architetture e tonalità cromatiche. È evidente che si sia scelto di sacrificare parte della complessità visiva per garantire la stabilità a 60 fps. 

I personaggi, invece, sono realizzati con maggiore cura: le animazioni sono fluide, i modelli ben definiti e soprattutto le mosse speciali sono messe in scena con una spettacolarità che cattura, a volte anche fin troppo, visto che la telecamera fatica a star dietro all’azione nel caos generale, in special modo quando si gioca in cooperativa, dove appunto lo schermo si doppia e il frame rate viene dimezzato.

La direzione artistica segue quella del nuovo corso di Zelda, con i suoi colori pastello che mostrano una solida coerenza estetica che lega perfettamente questo spin-off al mondo di Tears of the Kingdom.

Sul fronte sonoro poi c’è ben poco da criticare. La colonna sonora alterna nuovi brani originali a reinterpretazioni di temi iconici tratti da Tears of the Kingdom, accompagnando perfettamente l’azione. Gli effetti sonori sono quelli tipici dell’universo di Zelda, immediatamente riconoscibili e sempre ben mixati. Ma la vera sorpresa è ancora una volta il doppiaggio in italiano, di altissimo livello, che dà grande personalità ai personaggi principali e che rende le lunghe sequenze narrative più godibili.

Prezzo e disponibilità

Hyrule Warriors: L’era dell’esilio è disponibile nei negozi al prezzo di 79,99€, mentre in digitale c’è un risparmio di 10€, proprio come accaduto per Donkey Kong Bananza o Leggende Pokémon: Z-A.

Il codice digitale per questa recensione è stato fornito da Nintendo, che non ha avuto un’anteprima di questo contenuto e non ha fornito alcun tipo di compenso monetario. Potete leggere maggiori informazioni su come testiamo e recensiamo dispositivi su SmartWorld a questo link.

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Giudizio Finale

Hyrule Warriors: L’era dell’esilio

Hyrule Warriors: L’era dell’esilio è un Musou con tutti i pregi e i difetti che il genere comporta. C’è però da sottolineare che fa fatica ad ingranare, impiegando molto tempo per aprirsi e mostrare la sua natura. Il tutto è alimentato dal fatto che la narrazione, se si è fuori dal mondo di Zelda, è un po’ repulsiva, e se lo si gioca in cooperativa il gioco vi obbliga ad affrontare diverse missioni in solitaria. Tuttavia, una volta che il gioco si apre, offre un Musou di qualità, denso di spettacolo, personaggi ben caratterizzati, combattimenti dallo squisito sapore scenografico e finalmente una degna fluidità, che è poi l’aspetto più vincente. Ci aspettavamo però qualche sorpresa in più, sia alla luce dei progressi fatti nel genere con Dynasty Warriors Origins, sia perché questo terzo capitolo di uno spin-off di Zelda aveva il potenziale per far respirare nuova vita all’universo Nintendo. Purtroppo, l’aspetto avventuroso non è stato ampliato e nemmeno quello strategico. Rimane insomma un titolo che rivolge principalmente ai fan, lo fa bene e in maniera divertente, ma non aspettatevi nulla di diverso da una classica esperienza in stile DW.

Voto finale

Hyrule Warriors: L’era dell’esilio

Pro

  • Il solito ma sempre godurioso Musou
  • Buona fluidità su Nintendo Switch 2
  • Attacchi speciali e sinergici spettacolari
  • Trama densa di filmati doppiati in italiano…

Contro

  • … ma prolissa, lenta
  • Fatica molto ad ingranare
  • Limitazioni iniziali nella cooperativa
  • Nessuna sorpresa nel ritmo e nella varietà di missioni

Giorgio Palmieri

Giorgio Palmieri
Da oltre dieci anni nel network di SmartWorld, ho iniziato il mio viaggio con AndroidWorld recensendo videogiochi mobile, con un occhio di riguardo per le perle nascoste negli angoli più reconditi dei negozi virtuali. Nel tempo, la mia passione è cresciuta insieme al sito, permettendomi di esplorare il mondo della tecnologia a 360°. Mi piace definirmi un jolly: scrivo, edito e collaboro a tutto ciò che mi appassiona. Ma, nel profondo, il mio cuore batte sempre e solo per loro: i videogiochi.

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