Società

Reato di femminicidio, il sì unanime in Senato: ne beneficeranno anche gli orfani. I centri antiviolenza: «Pene più severe non salveranno le donne»

Il ddl femminicidio è stato provato all’unanimità in Senato e adesso passa alla Camera. Prevede, tra le varie misure, che il femminicidio diventi un reato a sé stante rispetto all’omicidio. Come ha ripetuto a lungo Michela Murgia: «La parola femminicidio non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio. Sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché». Il testo del disegno di legge, che prevede l’ergastolo per chi lo commette, lo definisce così: «Chiunque cagiona la morte di una donna, quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o è conseguenza del rifiuto della stessa di stabilire o mantenere una relazione affettiva ovvero di subire una condizione di soggezione o comunque una limitazione delle sue libertà individuali, imposta o pretesa in ragione della sua condizione di donna, è punito con l’ergastolo». Se da una parte questo disegno di legge cambia il passo rispetto alla tempestività dell’intervento penale, dall’altro non interviene in maniera strutturale sulle cause profonde del femminicidio e non prevede il rafforzamento concreto di percorsi di prevenzione culturale e sociale.

La nota positiva è certamente quella riguardante i miglioramenti previsti gli orfani di femminicidio, bambini e bambine che in un istante perdono ogni loro certezza e il contesto della famiglia in cui sono nati e cresciuti. In particolare, come sottolinea l’organizzazione internazionale Save The Children, viene ampliato l’accesso ai benefici previsti per gli orfani di femminicidio a tutti i coloro che sono stati privati della madre perché uccisa in quanto donna, anche in assenza di un legame affettivo, attuale o passato, tra la vittima e l’autore del reato, superando così un limite finora previsto dalla legge. A questo si aggiunge l’estensione dei benefici economici anche ai figli di donne sopravvissute a tentativi di femminicidio, ma rimaste gravemente compromesse al punto da non poter più prendersi cura dei propri figli. In questi casi, i minori avranno diritto alle stesse tutele previste per gli orfani di femminicidio.

«È fondamentale continuare a guardare alla violenza contro le donne anche dal punto di vista delle figlie e dei figli, colpiti direttamente da quanto le loro madri subiscono e a cui essi stessi spesso assistono», spiega Giorgia D’Errico, Direttrice Relazioni Istituzionali di Save the Children. «A questi bambini e bambine, va garantito un supporto specifico e continuativo e un accesso agevole a tutti i benefici previsti dalla legge, senza ostacoli burocratici e tutelando il loro benessere psicofisico. Constatiamo positivamente che le proposte approvate, frutto di un lavoro sinergico tra maggioranza e opposizione, si muovono nella direzione da noi auspicata, come evidenziato nella nostra memoria presentata in Commissione. Tra queste valutiamo positivamente anche la possibilità per le vittime minorenni di violenza a partire dai 14 anni di accedere ai Centri Antiviolenza per ricevere informazioni e orientamento, senza necessità di una preventiva autorizzazione da parte dei genitori».

Nelle stesse ore in cui il ddl femminicidio viene approvato in Senato, D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza presenta il nuovo report della Rete dei centri antiviolenza e delle attività realizzate sul territorio nazionale. Nel 2024 sono state accolte dai Centri antiviolenza della Rete 23.851 donne, nel 2023 erano state 23.085 nel 2023. «Sono donne che riconoscono in ognuna di noi il rispetto per i loro vissuti e il desiderio di lottare per l’affermazione della loro libertà e per quella di tutte le donne», commenta Cristina Carelli, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. «A fronte di questi risultati ci attenderemmo un coinvolgimento più attivo nella costruzione delle cosiddette politiche antiviolenza, le cui lacune risentono in modo evidente dell’assenza del nostro contributo». I centri antiviolenza non sono stati infatti coinvolti nell’elaborazione del disegno di legge sul femminicidio e a più voci hanno ribadito nei mesi scorsi la necessità di prevedere dei percorsi di formazione specifica ma anche investimenti economici adeguati sia per le strutture che si occupano delle vittime di violenza di genere (i Centri vivono principalmente di volontariato e di risorse economiche ancora insufficienti nonostante si registrino ogni anno scostamenti positivi) sia per dare vita davvero a un percorso di cambiamento culturale del nostro intero Paese. Come ha sottolineato più volte Antonella Veltri di D.i.Re. :«Non ci aspettiamo un calo dei femminicidi, perché, lo abbiamo detto e lo ribadiamo, non è con pene severe o più severe che si afferma il diritto delle donne di vivere libere dalla violenza».


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