Quirinale, patto tra Giorgia Meloni e Antonio Tajani
L’accordo per il Quirinale tra la premier Meloni e il vicepresidente Tajani comincia ad assumere le sembianze di un patto
Certo, si parla del 2029 e quattro anni in politica sono un’era geologica in cui tutto può avvenire. E certo, poi, si parla di un’altra legislatura. Chissà chi sarà al governo nel 2029 anche se ormai Giorgia Meloni è convinta non solo di chiudere questa legislatura ma di avere anche buone chances per ipotecare la prossima.
E comunque, fatte tutte le premesse, l’accordo tra i due comincia ad assumere le fattezze di un patto. «Nel 2029 – lascia intendere Meloni – sarai tu Antonio il candidato del centrodestra per il Quirinale».
LA PROMESSA PER IL QUIRINALE DELLA PREMIER MELONI AL LEADER DI FORZA ITALIA TAJANI
Quindi, fai pure le tue battaglie, alza paletti, ingoia un po’ di protagonismo (di Meloni) in politica estera ma poi tutto deve rientrare perché la «tua casa è il centrodestra e il centrodestra ti porterà, quando sarà il momento, alla Presidenza della Repubblica».
L’indiscrezione arriva da ambienti di Fratelli d’Italia, matura nei giorni dell’ultima grande tensione dopo che Forza Italia ha mandato sotto la maggioranza (in commissione) sul canone Rai e mentre Meloni decide di affidare ad un suo fedelissimo come Foti le quattro pesanti deleghe dell’ex ministro Fitto.
Partita durissima quella anche perché la premier voleva a tutti i costi Elisabetta Belloni accanto a sé in Cdm come ministro per i Rapporti con l’Europa ma quello sarebbe stato un boccone veramente indigeribile per Tajani. E la premier ha dovuto soprassedere per evitare sfide interne inutili e pericolose.
Dentro Forza Italia i fedelissimi del presidente azzurro si scherniscono («è troppo presto, da qui al 2029…») e fanno gli scongiuri, sanno che certi patti affondano le radici nel tempo e nonostante questo non sono mai blindati.
Tra chi aveva scommesso che Tajani avrebbe portato il partito all’estinzione dopo la morte di Silvio Berlusconi e si è dovuto poi rimangiare la lingua davanti ad una più che onorevole tenuta che ha riportato il partito tra l’8 e il 10%, si lascia cadere l’argomento con un sorriso.
«Di sicuro a lui piacerebbe molto». Nessuno stupore. Anzi: «Si capirebbero così fughe in avanti e ritirate, battaglie epocali finite in nulla, il più classico gioco delle parti con annessa ammuina». Da parte di entrambi.
L’INDISCREZIONE DEL PATTO PER IL QUIRINALE TRA MELONI E TAJANI ARRIVA DA FDI
L’ultima è la levata di scudi di Forza Italia sui vaccini, il condono per i no vax che non si sono vaccinati e che non dovranno pagare la multa di 100 euro che Meloni ha inserito nel Milleproroghe. La misura era nell’aria e non solo per dare l’atteso contentino a quell’elettorato no vax che ha votato Fratelli d’Italia e anche Lega. Impossibile che Tajani non sapesse.
Possibile che abbia ritenuto di non condividere prima con i suoi per rendere più credibile la protesta degli azzurri il giorno dopo. Il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè e la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli sono stati chiari e sintetici: «Noi questa roba non la voteremo».
E tanti nel gruppo la pensano come loro. Forza Italia era al governo con Draghi e ha condiviso ogni decisione, tutte molto difficili, di quella stagione a cominciare dall’obbligo di vaccinarsi che era l’unico modo per provare a mettere in sicurezza il Paese e i suoi cittadini più fragili.
«Siccome non c’è nessuna evidenza che dimostri che i vaccini hanno fatto male, anzi, hanno salvato questo Paese e il mondo intero dalla pandemia» ha detto Mulè.
«Non vedo perché adesso si debba fare un atto che va nella direzione di asseverare una condotta che è andata contro quello che era un dovere morale e civico».
Perché i soci che hanno la maggioranza nell’alleanza di governo devono dare la risposta che il voto dei no vax pretende di avere: la cancellazione delle multe.
Come spesso succede Tajani e Meloni in questi casi tacciono, intanto fanno sfogare le truppe, prendono nota degli umori. Poi decideranno cosa è più conveniente fare, per entrambi e alla luce del “Patto Quirinale». Che può diventare la chiave per leggere e comprendere meglio alcune delle dinamiche di questi ultimi mesi. A partire dall’estate, ad esempio.
Allora fu proprio Tajani che partì lancia in resta con una nuova legge sulla cittadinanza per le seconde generazioni nate in Italia o che vivono qui da anni.
La faccenda andò così avanti che il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, arrivò ad ipotizzare la crisi di governo. Era agosto. Non se n’è saputo più nulla al di là di un testo di legge presentato da Forza Italia che ogni tanto Tajani minaccia di tirare fuori.
È lo specchietto per le allodole usato per confondere un po’ le acque e alzare l’asticella del suo partito.
UN LAVORO DIFFICILE QUELLO DEL PATTO PER IL QUIRINALE
È un lavoro difficile quello del Patto Quirinale. Può logorare chi lo fa. E alla fine anche il partito che rischia di non essere più credibile nelle sue battaglie. Pensandoci bene, però cosa ha ottenuto finora Forza Italia? Ha “vinto” sul canone Rai che non ha visto rinnovare la proroga dello sconto. Ha perso la Lega. I Fratelli hanno incassato anche perché quella norma sarebbe costata più di 400 milioni e Giorgetti non avrebbe saputo dove prenderli.
Allo stesso modo, diciamo già che il condono ai no-vax rappresenta un mancato incasso per lo Stato di 170 milioni a cui Giorgetti non vorrebbe rinunciare. Forza Italia ha perso sulle pensioni. Le minime avranno un aumento di due euro al mese, peccato che le promesse erano di farle arrivare a mille euro. Alla fine potrebbe vincere sulla giustizia visto che la separazione delle carriere giudici/pm è l’unica delle tre riforme che cammina. La vogliono tutte le forze di maggioranza ma quella è una riforma con il timbro Silvio Berlusconi.
Forza Italia, partito molto radicato al sud, ha in parte vinto la battaglia sull’Autonomia differenziata. Giusto ieri il via libera ai referendum è l’ulteriore mazzata su una legge nei fatti già morta. Ma questa non è stata la battaglia di Tajani, anzi. È stata la battaglia dei governatori, Schifani e Occhiuto, e dei sottosegretari del sud che non hanno aderito al referendum solo per carità di patria. L’Autonomia è l’ipoteca più grave sul Patto Quirinale e Tajani si deve muovere con cautela. Meglio far fare ad altri.
UN’ALTRA IPOTECA SUL PATTO PER IL QUIRINALE TRA MELONI E TAJANI SI CHIAMA MATTEO SALVINI
L’altra ipoteca sul Patto Quirinale tra Giorgia e Antonio si chiama Matteo Salvini. Che non sa ma sospetta perché è evidente come da un certo punto in poi Giorgia Meloni abbia deciso di far la corsa con Tajani e non più con il segretario della Lega.
Certo, mancano quattro anni e in politica sono un’era geologica. Ma la promessa del Colle più alto intanto ha già pagato un prezzo: nessuna delle deleghe di Fitto è andata a Forza Italia. Che le avrebbe meritate. E avrebbe anche saputo a chi darle.
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