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Quarant’anni di comicità raccontati da Carlo Verdone: la storia d’Italia vista con lo sguardo di chi l’ha messa a nudo

Ci vuole un «malincomico» come Carlo Verdone per raccontare la grande comicità italiana, dai teatri off degli anni Settanta ai tic e alle nevrosi immortalati al cinema negli anni Novanta. «Al bar mi dicono: lei è un antidepressivo senza effetti collaterali», racconta l’attore e regista romano nella gremita Aula Magna Mario Arcelli della Luiss per la lezione di 50 minuti agli studenti promossa ieri dalla Fondazione Guido Carli. Eloquente il titolo: “Comicamente etici. Come è cambiato l’umorismo dagli anni 80 a oggi”. Un’allocuzione che è anche una sfida: provare a ripercorrere un pezzo di storia d’Italia attraverso lo sguardo di chi l’ha messa a nudo, con i suoi vezzi e i suoi personaggi, senza mai rinunciare alla lente dell’etica e della responsabilità. E inviare un messaggio, soprattutto ai ragazzi: «In questo momento particolare che il mondo attraversa, ridere è importante».

«La grande comicità italiana potrebbe presto diventare patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco: è il modo migliore per valorizzare una tradizione di eccellenze che ha non solo divertito, ma anche smascherato le ingiustizie, diventando spesso la voce dei più fragili», sottolinea la presidente della Fondazione, Romana Liuzzo, che ha già illustrato la proposta alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Il ministero lavorerà insieme ai promotori per costruire il dossier di candidatura», assicura la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni: «In un momento di così forti interrogativi sull’intelligenza artificiale abbiamo il dovere di tutelare e di trasmettere alle nuove generazioni le arti creative in cui l’Italia eccelle, tra cui la comicità, segno distintivo del Made in Italy». Dello stesso avviso la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli (Fi): «Un Paese che sa ridere è un Paese che sa guardare avanti». Il prefetto di Roma, Lamberto Giannini, riconosce: «Anche la sicurezza non può prescindere dal sorriso e dalla leggerezza, altrimenti sarebbe percepita non come un grande bene, ma come un’oppressione».

Da destra il prefetto Lamberto Giannini, la presidente della Fondazione Guido Carli Romana Liuzzo, l’attore e regista Carlo Verdone, la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli e la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni

Avrebbe condiviso Guido Carli, lo statista che fu Governatore della Banca d’Italia e ministro del Tesoro, ricordato dalla nipote Liuzzo per i valori cardine: etica e speranza. In sua memoria, la Fondazione insiste nell’impegno sociale: suggerisce l’istituzione di una Giornata del buonumore che mobiliti una volta l’anno i comici negli ospedali, accanto a chi soffre, e anticipa un nuovo progetto per i giovani di Caivano che sarà dettagliato il 9 maggio al Premio Guido Carli.

È la forza nobile della leggerezza che viene celebrata alla Luiss. Far ridere è un potere che richiede studio ed esercizio. Lo provano gli aneddoti snocciolati da Verdone, che non dimentica di omaggiare l’epoca d’oro in cui «gli scrittori scrivevano anche per il cinema», come Gadda, Flaiano e Pasolini, gli sceneggiatori Amidei e Sonego, i maestri, da Sordi a Fellini, e i “magnifici quattro” Gassman, Tognazzi, Mastroianni e Manfredi. Rievoca gli esordi nei teatri off, il successo di “No Stop” in Tv e la telefonata di Sergio Leone, fino all’inizio della carriera da regista, con “Un sacco bello” e “Bianco, rosso e Verdone”. «Volevo rappresentare una Roma che stava sparendo, quella dello zoo deserto, della contrabbandiera di Vicolo del Cinque, la Roma delle estati piene di poesia». Commosso il tributo a Eleonora Giorgi, protagonista di Borotalco.

Poco dopo la comicità italiana diventa lo specchio di una società in rivolta. «Con Nuti, Troisi e Benigni abbiamo raccontato la crisi del maschio davanti al femminismo che ha rivoluzionato tutto: non comprendevamo più le donne, non sapevamo più chi fossero». La «grande crisi» è a un passo, esploderà in “Compagni di scuola”, il film voluto e difeso davanti al produttore che non ci credeva. Per Verdone, è «la radiografia delle fragilità e delle solitudini dei personaggi», l’affresco di un’epoca. I Novanta sono questo implodere dei rapporti interpersonali, la psicoanalisi in scena, ma anche i cinepattoni «verso cui bisogna essere indulgenti» e il nostro cinema che conquista l’Oscar con Mediterraneo di Salvatores e “La vita è bella” di Benigni. Storie universali che parlano al mondo: la guerra, gli orrori del Novecento.


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