Quantum computing: la bulimia tecnologica e l’incertezza della nuova frontiera
Viviamo in un tempo segnato dalla bulimia tecnologica: ogni nuova scoperta, ogni innovazione, ogni orizzonte aperto dalla scienza applicata è immediatamente assorbito dal mercato, dalla politica e dalla narrazione collettiva come promessa salvifica, come nuova frontiera di senso. Il quantum computing non fa eccezione. E’ diventato il nuovo totem della computazione, il nuovo “Hype” attorno al quale si costruisce un immaginario entusiasta, spesso acritico, che oscilla tra la promessa di risolvere problemi oggi irrisolvibili e il rischio di smarrire la misura.
Il computer quantistico non è una semplice evoluzione del computer classico, ma una sua vera e propria messa in discussione. I qubit, che sostituiscono i bit binari, non si limitano ad essere 0 oppure 1, ma 0 e 1: si trovano in uno stato di sovrapposizione, cioè contemporaneamente in più stati, secondo le leggi controintuitive della meccanica quantistica. Il risultato è una computazione che non procede linearmente, ma si affida a un regime probabilistico, a un calcolo degli stati che non è più deterministico.
In questo senso, il quantum computing introduce una forma di incertezza radicale nella nostra idea stessa di computazione. Dove il computer classico era simbolo della precisione logico-matematica, della replicabilità e della chiarezza algoritmica, il computer quantistico diventa simbolo di ambiguità, probabilità, collasso. È una macchina che elabora l’incertezza invece di rimuoverla. Come possiamo volere un sistema che sbaglia un’operazione ogni mille, mandandone in pensione un altro che commette un errore ogni 15 miliardi di operazioni? Come possiamo fidarci di una tecnologia che incorpora il principio di indeterminazione nel suo stesso funzionamento?
Il mercato tecnologico, affamato di nuovi simboli, ha trasformato il quantum computing in una nuova narrazione utopica: promette la fine delle attuali limitazioni computazionali, la decifrazione immediata di problemi complessi, la rottura definitiva degli algoritmi crittografici oggi in uso, e con essa, la ridefinizione di parte della sicurezza informatica globale. Ma, come accade per ogni tecnologia che si inscrive nel tempo della promessa, si rischia di dimenticare che ogni innovazione porta con sé una carica ambivalente.
Ogni nuova frontiera tecnica diventa un nuovo territorio di vulnerabilità: il quantum computing non sfugge a questa logica. Se da un lato può rafforzare la capacità di calcolo delle infrastrutture digitali, dall’altro rende obsolete le attuali architetture di protezione. Dunque, la promessa di potenza si trasforma in minaccia.
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