Quando una condanna penale giustifica il licenziamento? Frasi shock contro le forze dell’ordine costano il posto di lavoro: legittimo il licenziamento anche a distanza di anni. Cosa hanno detto i giudici

La Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in materia di licenziamenti disciplinari, confermando la legittimità del recesso datoriale quando il dipendente riporta una condanna penale che compromette irreparabilmente il vincolo fiduciario. L’ordinanza n. 24100 del 28 agosto 2025 chiarisce i parametri per valutare quando comportamenti extra-lavorativi possano giustificare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Nel caso esaminato, il lavoratore aveva riportato una condanna definitiva a otto mesi di reclusione per oltraggio alle forze di polizia e istigazione alla violenza, con frasi gravemente ingiuriose pronunciate in contesti calcistici. La società aveva proceduto al licenziamento solo dopo aver avuto conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza penale, nonostante i fatti fossero noti già dal 2010.
La Suprema Corte ha chiarito che il termine per la contestazione disciplinare decorre dalla conoscenza effettiva del passaggio in giudicato della condanna, non dalla semplice conoscibilità dei fatti. Il datore di lavoro può legittimamente attendere l’esito del procedimento penale prima di procedere alla sanzione disciplinare, evitando così contestazioni premature o non sufficientemente accertate. La prudente attesa dell’epilogo giudiziario non comporta decadenza dal potere disciplinare, purché la reazione datoriale sia tempestiva rispetto alla conoscenza della sentenza definitiva.
Gravità della condotta e proporzionalità della sanzione espulsiva
La Cassazione ha confermato che i reati commessi dal lavoratore, caratterizzati da reiterazione nel tempo e particolare gravità, erano idonei a compromettere il rapporto fiduciario. Le condotte, consistenti in frasi che istigavano alla violenza contro le forze dell’ordine, sono state valutate incompatibili con lo svolgimento delle prestazioni lavorative in un contesto di collaborazione aziendale.
I giudici hanno rigettato l’eccezione relativa alla disparità di trattamento, chiarendo che solo l’identità delle situazioni potrebbe privare il licenziamento della sua base giustificativa. La valutazione di proporzionalità tra condotta e sanzione rimane prerogativa del giudice di merito, sindacabile solo in caso di motivazione inesistente o manifestamente illogica. La Corte ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento, precisando che l’intento persecutorio deve costituire l’unica ragione determinante del recesso per configurare la nullità del provvedimento
Source link