Società

Professore con piedi sulla cattedra e cellulare in mano: la Cassazione respinge ricorso contro sospensione di 4 giorni: “Parolacce e linguaggio sguaiato vìolano doveri minimi di convivenza civile”

Ma le contestazioni non si fermano qui. Il professore è stato accusato di aver incalzato gli alunni durante le interrogazioni “per metterli in difficoltà e farli sbagliare”, di aver mortificato due studenti che erano impreparati, e di aver ingiuriato un alunno “costringendolo a dire a tutta la classe che era un deficiente ad alta voce”. L’elenco delle accuse include anche la disattenzione verso gli alunni con problemi, apprezzamenti “denigrativi” sugli studenti e le loro famiglie, spiegazioni insufficienti delle lezioni con il rifiuto di rispondere alle domande, invitando gli studenti a “leggerlo sul libro”.

Il lungo iter processuale e le questioni procedurali sollevate dalla difesa

Il procedimento disciplinare ha seguito un percorso articolato attraverso tre gradi di giudizio.

Inizialmente, il Tribunale aveva respinto il ricorso del docente, ritenendo regolare l’iter disciplinare sotto tutti i profili procedimentali. I giudici di primo grado avevano stabilito che erano stati rispettati i termini dell’azione disciplinare previsti dall’articolo 55 bis del decreto legislativo 165/01, considerando che la contestazione era avvenuta nei tempi stabiliti (verbale dell’assemblea dei genitori del 6 febbraio 2014, protocollato il 10 marzo 2014; notifica dell’addebito il 1° aprile 2014) e che il provvedimento sanzionatorio era stato emesso il 22 luglio 2014, rispettando i 120 giorni previsti.

La Corte d’Appello aveva successivamente confermato la decisione, ribadendo la competenza dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari per le sanzioni più gravi, dalla sospensione al licenziamento, indipendentemente dall’applicazione successiva di una sospensione inferiore a dieci giorni. I giudici di secondo grado avevano anche sottolineato che la documentazione presentata dall’amministrazione scolastica conteneva “plurimi e collimanti elementi di valutazione circa i fatti contestati al dipendente, provenienti da persone terze rispetto al rapporto di lavoro”.

La Cassazione chiarisce i principi sulla competenza disciplinare

La Corte di Cassazione ha definitivamente respinto il ricorso del docente, affrontando tre motivi principali sollevati dalla difesa.

Sul primo punto, relativo alla procedura conciliativa, i giudici di legittimità hanno chiarito che solo quella attivata tramite l’ufficio provinciale del lavoro comporta l’obbligo del datore di lavoro di nominare un proprio arbitro. Nel caso specifico, l’insegnante si era avvalso della procedura del contratto collettivo del 31 gennaio 2001, che prevede “un iter consensuale e non vincolato rispetto al quale non è prevista alcuna sanzione”.

Particolarmente significativo è il secondo motivo, riguardante la competenza dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: “l’attribuzione della competenza al Dirigente della struttura cui appartiene il dipendeìente o all’Ufficio per i procedimenti disciplinari si definisce esclusivamente sulla base delle sanzioni edittali massime stabilite per i fatti quali indicati nell’atto di contestazione e non sulla base della misura che la pubblica amministrazione possa prevedere di irrogare”. In sostanza, anche se la sanzione applicata è stata di quattro giorni, la competenza dell’UPD deriva dal fatto che la normativa prevede una sanzione massima di un mese per quei comportamenti.

Il terzo motivo, relativo all’omesso vaglio delle prove, è stato dichiarato inammissibile, confermando che i giudici di merito avevano correttamente valutato la documentazione presentata.


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