Ambiente

Prodotti Esg, una battuta d’arresto che lascia vedere il recupero

Il 2024 è stato certamente un anno di grandi difficoltà per i prodotti finanziari Esg, soprattutto negli Usa, il cui sviluppo sembrava inarrestabile e il corrente anno non sembra quello del recupero. I motivi sono molteplici: l’eccesso di regolamentazione, l’esclusione dall’investibile in tempi troppo ristretti sia per l’economia sia per la società, di prodotti energetici e industriali con particolare riguardo al riscaldamento delle case e all’automotive; l’instabilità geopolitica che ha provocato guerre a partire dall’invasione russa dell’Ucraina e generato un forte bisogno di difesa e quindi di acquisto di armamenti.

La riduzione è iniziata con l’abbandono, anche per “convenienze politiche” e di “raccolta finanziaria”, di alcune tra le più importanti società del risparmio gestito dalle organizzazioni internazionali che riuniscono gruppi finanziari attivi nel contenimento della crisi climatica, condizionate sia dalle ultime elezioni americane ma anche da politiche più compatibili con le esigenze economiche e occupazionali della popolazione interessata. Fine di un grande obiettivo? Assolutamente no; certo un ripensamento delle regole sulla transizione ecologica ed energetica, alla luce dei fatti evidenziati, è inevitabile ed anche auspicabile ma è assolutamente irrealistico pensare che le politiche ambientali arretrino e si ridimensionino. Anche perché la situazione demografica ed ecologica del pianeta con il riscaldamento globale che a gennaio 2025 è stato di 1,75 gradi più caldo rispetto al livello preindustriale ed è stato il 18° mese degli ultimi 19 in cui la temperatura media globale dell’aria è stata di oltre 1,5 gradi in più rispetto al livello preindustriale, sono un forte campanello dall’allarme. E’ vero che non sappiamo in una scala da 1 a 10, quanto il cambiamento climatico dipenda da fattori naturali e quanto dall’uomo; quello che però è certo, come sostengono le Nazioni Unite e la maggioranza degli scienziati, che una parte consistente del problema dipende dall’uomo, dalla abnorme crescita demografica, dagli eccessivi e inutili consumi di massa, da 36 miliardi di tonnellate di CO2 e altri gas immesse ogni anno in atmosfera, dalla distruzione dell’habitat naturale e delle biodiversità e dal consumo di 1,7 «Terre» ogni anno tanto che abbiamo accumulato oltre 13 anni a debito dal 1973 come ci dice il Global Footprint Network. Quindi se da un lato occorre abbandonare i sogni irrealistici promossi dall’Unione europea sulla elettrificazione delle auto o sulla riduzione delle emissioni “scope 1,2,3” relative al trasporto e alle case, certamente non si ritornerà alle auto inquinanti o alle caldaie a gasolio o gas; un ripensamento sull’uso del gas come ponte verso le rinnovabili o dei motori endotermici che potrebbero essere alimentati a biofuel o a idrogeno sembra indispensabile. Inoltre, nessun governo potrà invertire la lotta al cambiamento climatico anche perché se un tempo non lontano, 80 anni fa, un alluvione o un uragano interessava circa due miliardi di terrestri, oggi ne riguarda più di 8,1 miliardi; per vivere alleviamo altrettanti animali mammiferi, ne macelliamo oltre 50 miliardi l’anno esclusi pesci e molluschi e facendo un peso specifico per mammifero di circa 50 chilogrammi è come se sulla terra non fossimo solo 8,1 miliardi di umani ma oltre 33 miliardi di esseri che mangiano, bevono, respirano ed emettono CO2 e altri inquinanti tra cui il CH4 (metano). E poi ci sono le guerre e lo scontro tra la visione dell’occidente democratico (pur con tutti i suoi limiti) e le autocrazie di Cina, Russia, Iran che attraggono le simpatie dei paesi del sud globale. In questo contesto l’Europa si scopre disarmata; l’Italia in caso di invasione avrebbe munizioni per pochi giorni e quindi la politica propone di destinare almeno il 2% del Pil in armamenti (ma alcuni parlano di 3 o 5%). Escludiamo tutti i fabbricanti di auto non elettriche, di caldaie, di armi, di plastiche e tutte le loro filiere?

Forse è meglio rivedere le direttive del parlamento europeo e della Commissione (SFDR, tassonomia, CSDR) e quelle Esma per renderle più compatibili con la vita delle popolazioni europee se non si vuole una avanzata dei partiti populisti ed estremisti il che significherebbe davvero un arretramento nella lotta al cambiamento climatico. Più che puntare tutto sugli “scope 1,2,3” sarebbe meglio una visione tipo scope 4 per le emissioni, dove quello che conta è quante emissioni l’azienda, attraverso la sua attività, i suoi prodotti e i suoi servizi, è riuscita a evitare. Tradotto quanto i prodotti sono meno inquinanti rispetto ad alcuni standard che incrementano nel tempo. Ed infine, va ripensata la politica delle esclusioni mentre l’engagement potrebbe con le nuove regole essere molto rilevante.

Presidente Itinerari Previdenziali


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