Basilicata

Processo Malapianta, condanna definitiva a 30 anni per il boss Mannolo

Regge in Cassazione l’accusa contro il clan Mannolo dedito al racket sul turismo, condanna definitiva a 30 anni per il boss


CUTRO – Diventa definitiva la pena di 30 anni di carcere per l’anziano boss Alfonso Mannolo, ritenuto al vertice dell’omonima consorteria mafiosa stanziata a San Leonardo di Cutro e proiettata nel Catanzarese e in Umbria. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, che ha riconosciuto l’esistenza della cosca e ha annullato con rinvio alcune condanne limitatamente ad alcune delle accuse. «La guardianìa è come il matrimonio, un male necessario», disse il boss facendo dichiarazioni spontanee in aula, nel primo grado di giudizio, aggiungendo un’ammissione al già corposo materiale probatorio.

Regge sostanzialmente l’impianto accusatorio anche nel rito ordinario, dopo le nove condanne passate in giudicato la scorsa settimana nel rito abbreviato e gli annullamenti con rinvio solo parziali, nel processo scaturito dall’inchiesta che portò alle operazioni Malapianta e Infectio, con cui la Dda di Catanzaro inflisse un duro colpo al clan dedito al racket ai villaggi turistici e al narcotraffico. Viene annullata con rinvio, ma limitatamente a due intestazioni fittizie, e confermata per il resto, la condanna a 19 anni comminata a Remo Mannolo, figlio del boss.

CONDANNA DEFINITIVA PER IL BOSS MANNOLO, LA DECISIONE PER LE PARTI CIVILI

Confermate le statuizioni civili. Sono state disposte in favore della Regione Calabria, del Comune di Cutro (difeso dall’avvocato Salvatore Rossi) del gruppo Maresca, di Banca Unicredit (di cui  stato accolto il ricorso), di Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e dell’imprenditore proprietario del villaggio stesso, vessato per anni dalla cosca Mannolo, il testimone di giustizia lametino Giovanni Notarianni, assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti.

Regge sostanzialmente l’impianto accusatorio anche nel rito ordinario, dopo le nove condanne passate in giudicato la scorsa settimana nel rito abbreviato e gli annullamenti con rinvio solo parziali, nel processo scaturito dall’inchiesta che portò alle operazioni Malapianta e Infectio, con cui la Dda di Catanzaro inflisse un duro colpo al clan dedito al racket ai villaggi turistici e al narcotraffico. Viene annullata con rinvio, ma limitatamente a due intestazioni fittizie, e confermata per il resto, la condanna a 19 anni comminata a Remo Mannolo, figlio del boss. Confermate le statuizioni civili.

Sono state disposte in favore della Regione Calabria, del Comune di Cutro (difeso dall’avvocato Salvatore Rossi) del gruppo Maresca, di Banca Unicredit (di cui  stato accolto il ricorso), di Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e dell’imprenditore proprietario del villaggio stesso, vessato per anni dalla cosca Mannolo, il testimone di giustizia lametino Giovanni Notarianni, assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti.

LEGGI ANCHE: Malapianta, la Cassazione riconosce la cosca Mannolo di San Leonardo di Cutro – Il Quotidiano del Sud

L’INCHIESTA

 L’inchiesta accorpa le risultanze di due maxi operazioni. L’operazione Malapianta, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone, che nel maggio 2019 portò a 35 fermi, mise fine al giogo mafioso imposto dalla cosca su un vasto territorio che da San Leonardo si estende alla fascia jonica catanzarese. Gli inquirenti ritengono di aver dimostrato come il clan, pur dipendente dalla cosca Grande Aracri di Cutro, avesse asservito i villaggi turistici del litorale – specie Porto Kaleo e Serené – e potesse vantare ramificazioni operative in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e proiezioni estere. Senza dire del dominio incontrastato nel traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e dell’usura, praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel Nord Italia.

La mente imprenditoriale era ritenuto Dante Mannolo, figlio del presunto boss e oggi collaboratore di giustizia. L’operazione Infectio, condotta dal Servizio centrale operativo della polizia e dalle Squadre Mobili di Perugia e Catanzaro, scattata, invece, nel dicembre 2019, avrebbe fatto luce su un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di armi clandestine, e un’associazione volta alla commissione reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi bancarie. Nel maggio scorso, la Corte d’Appello di Catanzaro dispose pene per 270 anni nel troncone processuale svoltosi col rito abbreviato. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Nuccio Barbuto, Paolo Carnuccio, Antonio Cozza, Salvatore Iannone, Pietro Pitari, Valerio Vianello Accorretti, Gregorio Viscomi.

LE DECISIONI

Ecco le decisioni posizione per posizione (in parentesi quelle di primo e secondo grado).

  1. Alberto Benincasa (di 45 anni), di Perugia: 3 anni e 6 mesi (4 anni e 6 mesi; 3 anni e 6 mesi).
  2. Giuseppe Benincasa (71), nato a Cerenzia e residente a Perugia: annullamento con rinvio (17 anni e 2 mesi; 7 anni).
  3. Antonio De Franco (58), nato a Cirò Marina e domiciliato ad Assisi: 7 anni (13 anni; 7 anni).
  4. Ciro Di Macco (68), di Fiuggi: 2 anni (3 anni e 6 mesi; 2 anni).
  5. Francesco Falcone (68), di Cutro: 15 anni e 9 mesi (16 anni; 15 anni e 9 mesi).
  6. Roberto Fusari (60), di Perugia: annullamento con rinvio (3 anni e 9 mesi; 2 anni e 6 mesi).
  7. Antonella Bevilacqua (40), di Crotone: 11 anni (11 anni; 11 anni).
  8. Mario Cicerone (67), di Rieti: annullamento con rinvio (7 anni e 6 mesi; 4 anni e 6 mesi).
  9. Luca Trabucco Mancuso (35), di Perugia: 3 anni (4 anni; 3 anni).
  10. Paolo Menicucci (71), di Corciano: annullamento con rinvio (5 anni; 3 anni).
  11. Luigi Giappichini (52), di Perugia: 5 anni (5 anni; 7 mesi).
  12. Alfonso Mannolo (85), di Cutro: 30 anni (30 anni; 30 anni).
  13. Remo Mannolo (52), di Cutro: annullamento con rinvio (19 anni; 19 anni).
  14. Annunziato Profiti (57), di Vibo: annullamento con rinvio (4 anni; 4 anni).
  15. Pasquale Profiti (60), di Vibo: 5 anni (7 anni; 5 anni).
  16. Renzo Tiburzi (74), di Foligno: annullamento con rinvio (3 anni; 2 anni).

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