Priorità Taiwan, la nuova strategia difensiva degli Stati Uniti

Secondo fonti del Washington Post il segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth avrebbe rilasciato un memo altamente classificato relativo ad una rimodulazione della postura difensiva americana. Il documento noto come Interim National Defense Strategic Guidance sarebbe stato distribuito ai dipendenti del Dipartimento della Difesa e firmato dallo stesso Hegseth e risulterebbe focalizzato su un generale riorientamento della postura difensiva statunitense volto a prevenire una possibile occupazione di Taiwan da parte della Repubblica Popolare Cinese.
Il memo risulta essere largamente simile ad un report relativo alla politica estera redatto dalla Heritafe Foundation, think tank noto per aver contribuito in maniera decisiva a redigere il noto Project 2025. Uno degli autori del report, Alexander Velez-green ricopre attualmente la posizione di Sottosegretario per la determinazione delle politiche del Dipartimento dell Difesa. Il report si presentava in particolare focalizzato sul perseguimento di tre obiettivi chiave: incrementare la deterrenza per una possibile invasione di Taiwan, incrementare la difesa del territorio statunitense e incrementare il border-sharing tra i propri alleati.
Nello specifico, le linee guida richiedono un incremento della presenza militare statunitense nell’Indo Pacifico mediante lo schieramento di sottomarini, bombardieri strategici e forze speciali. Esso raccomanda al contempo un rafforzamento della logistica e il potenziamento di scorte in loco e l’esercizio di una forte pressione su Taiwan volta a convincere il governo dell’isola ad incrementare significativamente le proprie spese della difesa. Le linee guida richiedono altresì ai che le forze armate statunitensi acquisiscano le capacità atte a scongiurare eventuali minacce nell’Emisfero Occidentale, con particolare riferimento a Groenlandia e Panama.
Ai vertici militari viene richiesto di assicurare l’accesso al Canale di Panama e condurre operazioni di contrasto al traffico della droga e all’immigrazione clandestina solitamente affidate al Dipartimento della Homeland Security. Il documento prevede altresì un’espansione delle forze nucleari statunitensi e delle capacità difensive anti missilistiche americane. In ultima analisi, le linee guida del Pemtagono prevedono un generale disimpegno statunitense da diversi teatri operativi, chiedendo un maggiore contributo degli alleati alla propria difesa. Nello specifico, esso statuisce come gli alleati Nato potrebbero contare in caso di attacco russo solo sull’ombrello nucleare americano e sulle truppe non assegnate a compiti di deterrenza relativi alla Cina. Le linee guida chiedono quindi incremento delle capacità difensive degli alleati Nato al punto da rendere questi ultimi in grado di reggere un’invasione russa anche laddove gli Stati Uniti siano impegnati in un altro conflitto.
In controtendenza rispetto alla Strategia di Sicurezza Nazionale rilasciata dall’Amministrazione Biden nel 2022, la quale enfatizzava la necessità di contrastare le azioni ostili della Federazione Russa, le linee guida del Pentagono vedrebbero la Repubblica Popolare Cinese come l’unico attore relativamente al quale gli Stati Uniti si preparerebbero per una guerra convenzionale. In particolare, la descrizione di una possibile invasione di Taiwan da parte di Pechino risulta incredibilmente dettagliata. Il documento è stato fortemente criticato a seguito del suo rilascio. A dispetto della sua generale coerenza con la politica di “America First” da sempre portata avanti da Trump, esso ha suscitato reazioni contrastanti da parte degli stakeholders statunitensi. Il memo è stato infatti distribuito ai membri del Congresso democratici e repubblicani facenti parte della Commissione sulla Sicurezza Nazionale. Questi ultimi lo hanno descritto come “confuso”, asserendo che esso risulta in contrasto con le recenti azioni militari statunitensi a danno degli Houthi nello Yemen. Un assistente di un membro del Congresso in condizioni di anonimato ha infatti fatto notare come l’Amministrazione Trump voglia mostrare la forza degli Stati Uniti in tutto il mondo, ma dando allo stesso tempo priorità alla sola Cina.
Il primo mandato di Donald Trump è stato in generale caratterizzato dall’assenza di linee programmatiche solide. Viceversa, al momento del suo ritorno alla casa Bianca il tycoon ha avuto a disposizione una chiara lista di priorità da perseguire. Tuttavia, la seconda amministrazione Trump è risultata sino a questo momento piuttosto contraddittoria. In generale, numerose azioni poste in essere dalla Casa Bianca sono state quasi istantaneamente ritrattate. Tale stato di cose non ha risparmiato la politica estera. La costante indecisione sull’applicazione delle tariffe doganali a danno di Canada e Messico e le contraddittorie dichiarazioni relative al Presidente ucraino Volodymyr Zelensky testimoniano l’assenza di linee chiare all’interno dell’Amministrazione presidenziale.
Il profondo caos interno della prima amministrazione Trump risultò determinante nel portare a numerosi fallimenti legislativi. Il conseguimento degli obbiettivi stabiliti dal tycoon passerà necessariamente per la definizione di linee guida chiare, tanto sulla politica interna, quanto estera.
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