primo Jim Jarmusch con Mother Father Sister Brother, “secondo” The Voice of Hind Rajab
Mostra del Cinema di Venezia 2025: al grande favorito della vigilia The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, “solo” il Gran Premio della Giuria.
La Mostra del Cinema di Venezia 2025 si è chiusa con un verdetto che ha spiazzato pubblico e critica: il Leone d’Oro della 82esima edizione è andato a Jim Jarmusch per Mother Father Sister Brother. Una vittoria sorprendente, che ha messo in secondo piano il grande favorito della vigilia, The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania, premiato “solo” con il Gran Premio della Giuria.
Jarmusch, maestro del cinema indipendente americano, ha convinto la giuria guidata da Alexander Payne con un’opera intima e silenziosa, capace di raccontare le difficoltà della comunicazione familiare attraverso un linguaggio minimalista ma potentissimo. Il film, interpretato da Adam Driver, Cate Blanchett e Tom Waits, ha prevalso su un’opera che sembrava destinata a scrivere la storia del festival: la regista tunisina Ben Hania, infatti, aveva colpito il pubblico con la drammatica vicenda di una bambina palestinese intrappolata in un’auto sotto il fuoco dei tank israeliani, un racconto di disperazione e impotenza che molti consideravano già Leone d’Oro.
Il dibattito è acceso: la scelta di Payne e della sua giuria ha suscitato reazioni contrastanti, perché da un lato premia la coerenza stilistica di un autore leggendario come Jarmusch, dall’altro ridimensiona il valore politico e umano del film tunisino, destinato comunque a lasciare un segno.

Nonostante i pronostici sovvertiti, il palmarès ha regalato soddisfazioni anche all’Italia. Toni Servillo si è aggiudicato la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile grazie al ruolo da protagonista in La Grazia di Paolo Sorrentino. L’attore napoletano veste i panni di un presidente della Repubblica anziano e tormentato, costretto a decidere se firmare una legge sull’eutanasia. Una prova intensa che segna per Servillo il primo riconoscimento internazionale di rilievo, dopo i numerosi premi nazionali.
Altro successo tricolore è quello di Gianfranco Rosi, che con il docu-film Sotto le nuvole ha conquistato il Premio Speciale della Giuria. Per il regista romano si tratta di un ulteriore tassello in una carriera già costellata da riconoscimenti prestigiosi, dal Leone d’Oro per Sacro Gra all’Orso d’Oro berlinese per Fuocoammare.
Sul fronte della regia, il Leone d’Argento è andato a Benny Safdie per The Smashing Machine, un film con Dwayne Johnson ed Emily Blunt. Per la prima volta senza il fratello Josh, il regista statunitense si è misurato con un racconto di sport e fragilità, seppur accolto dalla critica con opinioni contrastanti. In molti avrebbero preferito vedere premiati autori del calibro di Yorgos Lanthimos, Park Chan-wook o Kathryn Bigelow, rimasti a mani vuote nonostante opere considerate tra le più solide del concorso.

La Francia ha brillato con Valérie Donzelli, vincitrice del premio per la miglior sceneggiatura con À pied d’œuvre, scritto insieme a Gilles Marchand. Un riconoscimento che conferma la vitalità del cinema francese nel panorama internazionale.
Per quanto riguarda le interpretazioni femminili, la Coppa Volpi è stata assegnata a Xin Zhilei per The Sun Rises On Us All di Cai Shangjun, mentre il Premio Marcello Mastroianni per il talento emergente è andato all’attrice svizzera Luna Wedler, protagonista di Silent Friend di Ildikó Enyedi. Una scelta che ha fatto discutere, considerando che Wedler, nonostante la giovane età, vanta già una solida esperienza.
Anche le sezioni parallele hanno riservato sorprese. Nella sezione “Orizzonti” il miglior film è risultato En El Camino di David Pablos, mentre il premio alla regia è stato assegnato all’indiana Anuparna Roy per Songs of Forgotten Trees. L’Italia ha brillato con Benedetta Porcaroli, premiata come miglior attrice per Il rapimento di Arabella di Carolina Cavalli, e con Giacomo Covi, miglior attore in Un anno di scuola di Laura Samani.
Il Leone del Futuro per la migliore opera prima è andato a Short Summer di Nastia Korkia, mentre il pubblico di “Venezia Spotlight” ha scelto Calle Màlaga di Maryam Touzani. Per “Venezia Classici” il riconoscimento al miglior documentario sul cinema è stato attribuito a Mata Hari di Joe Beshenkovsky e James A. Smith, e il premio per il miglior restauro a Bashu, The Little Stranger di Bahram Beyzaie.
Infine, il settore “Venice Immersive” ha premiato The Clouds Are Two Thousand Meters Up di Singing Chen, un viaggio visionario che ha conquistato la giuria.
L’edizione 2025 della Mostra del Cinema sarà ricordata per la forza delle contrapposizioni: da una parte l’urgenza politica e civile di un film come The Voice of Hind Rajab, dall’altra la potenza silenziosa di Jarmusch, che con il suo cinema contemplativo ha riportato il Leone d’Oro negli Stati Uniti per l’undicesima volta nella storia del festival.
Venezia, ancora una volta, ha dimostrato di essere un laboratorio di tensioni e visioni, un palcoscenico dove il cinema si specchia nelle contraddizioni del nostro tempo con esperienze che vengono sovvertite rispetto a quanto viene atteso. E tra poco si tornerà al lavoro per l’edizione 2026. Faticosamente. Perché l’edizione di quest’anno non sarà facile da battere.
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