Basilicata

Potenza: Cossidente, un clan con base dal commercialista

Depositate le motivazioni della Cassazione sui giri di cocaina del clan Cossidente: la base dal commercialista. Decisive, per i giudici, le intercettazioni nell’ufficio di un insospettabile sodale


QUELLA guidata tra il 1998 e il 2008 dal boss potentino Antonio Cossidente, poi diventato collaboratore di giustizia, era una vera associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di cocaina. Con una «base logistica» insospettabile nello studio di un commercialista inserito a pieno titolo nel clan.
E’ quanto scrivono i giudici della Corte di cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui a fine aprile hanno confermato le condanne: a 5 anni e 8 mesi di reclusione, già scontati per la collaborazione con la giustizia, di Cossidente; a 10 anni di carcere per il suo ex braccio destro Michele Scavone; e a 5 anni per il commercialista potentino Aldo Fanizzi.

Stessi giudici che dichiarato prescritte le accuse di truffa, per una vicenda collaterale, al nocerino Amedeo Salvato; hanno ridotto la pena da 5 anni e 8 mesi a 5 anni e 6 mesi per un altro dei fedelissimi di Cossidente, Raffaele Pagano; e poi disposto un un nuovo processo di secondo grado per l’ex braccio destro del boss, Carmine Campanella, e per uno dei presunti fornitori del clan indicati agli inquirenti da Cossidente, il boss di Africo nuovo Pietro Morabito.

La terza sezione della Cassazione, presieduta da Vito Di Nicola, ha convalidato, in particolare, quanto deciso dai colleghi della Core d’appello di Potenza sulle accuse a Fanizzi, «per aver messo stabilmente a disposizione dell’organizzazione criminale, quale commercialista libero professionista, il proprio studio professionale, che era divenuto la base logistica dell’associazione, in cui, appunto, avvenivano gli incontri tra il Cossidente con altri sodali e, in alcuni casi, anche condotte di cessione di stupefacente».

«Ciò è stato desunto dai giudici di merito – si legge nelle motivazioni della sentenza – sia dalle convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, Cossidente – il quale, tra l’altro, ha precisato di aver partecipato stabilmente alle spese di gestione dello studio del Fanizzi, che era per lui comodo da raggiungere in quanto posizionato nei pressi del maneggio ove andava a cavallo – e Telesca (Alessio, altro collaboratore di giustizia morto anni fa, ndr), sia dall’inequivocabile tenore delle conversazioni delle intercettazioni effettuate nello studio del Fanizzi – in cui erano presenti il Cossidente, lo Scavone e, in un caso, anche il Salvato, un fornitore per il canale campano -.

Colloqui da cui traspare anche la preoccupazione per i controlli di p.g. (polizia giudiziaria, ndr) e il riferimento ai diversi acquirenti, sia dalle dichiarazioni del maresciallo Marino in ordine agli esiti della attività investigativa e di o.c.p. (osservazione controllo e pedimento, ndr) svolta presso lo studio del Fanizzi e al possesso di una copia delle chiavi da parte dello stesso Cossidente, che spesso accedeva in quel luogo anche in assenza del Fanizzi».

Per i giudici, insomma, « l’apporto contributivo del Fanizzi è risultato essere indispensabile al gruppo, essendo egli un soggetto incensurato ed insospettabile, che aveva messo stabilmente a disposizione del sodalizio il proprio studio professionale, ritenuto sicuro, per consentire la prosecuzione dell’attività dirigenziale del Cossidente con gli altri sodali».
L’inchiesta sui giri di cocaina del clan Cossidente era condotta dai militari del nucleo provinciale investigativo dei carabinieri.

I fatti presi di mira costituirono il filone originario dell’indagine che in seguito mise in luce i rapporti tra sport e malavita all’ombra dello stadio Viviani e il monopolio della security imposto nei locali notturni di mezza Potenza e provincia. Vicende finite al centro di altri processi già conclusi con una serie di condanne definitive, quanto all’imposizione dei servizi di sicurezza nei locali notturni, e la prescrizione del grosso delle accuse per quanto riguarda le partite truccate del Potenza calcio, il relativo giro scommesse “a colpo sicuro”.

Inizialmente nel processo sulla “calciopoli rossoblu” era stata contestata al clan Cossidente anche l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Sulla scorta delle pronunce della Cassazione che hanno negato i crismi mafiosi al clan “madre” dei “basilischi”, però, è rimasta in piedi soltanto quella di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. Vale a dire l’accusa al centro del processo appena conclusosi in Cassazione.

Indagando sui giri di cocaina del clan Cossidente gli investigatori hanno ricostruito i canali di approvvigionamento del gruppo e un giro molto esigente di consumatori “vip” del capoluogo.
Così è venuto alla luce il patto stretto da Cossidente e soci con un noto rampollo delle ‘ndrine della locride, Morabito, parente del superboss Giuseppe detto “u tiradrittu”. Anche se in diverse occasioni i rifornimenti sarebbero avvenuti in Campania.


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