Liguria

Ponte Morandi, nella maxi memoria finale dei pm la ‘favola’ (senza lieto fine) della scala a pioli tarlata


Genova. E’ lunga 5747 pagine la memoria finale depositata oggi in aula nel processo per il crollo del ponte Morandi dai pm Walter Cotugno e Marco Airoldi. Un lavoro, scritto con la collaborazione del pm Massimo Terrile andato in pensione alcuni mesi fa che aveva redatto la già mastodontica memoria iniziale (3mila pagine).

Il documento messo a disposizione dei legali ripercorre la storia del ponte, la normativa, gli interventi eseguiti e non eseguiti fino a indicare le responsabilità dei singoli sulla base di quanto emerso (dalle deposizioni di testimoni, dei periti e dei consulenti e anche dall’integrazione di perizia) nel corso del lunghissimo dibattimento che ora è ufficialmente chiuso. Il processo riprenderà infatti il 16 giugno con la requisitoria dei pubblici ministeri che terminerà a settembre. Poi sarà la volta degli avvocati di parte civile e poi dei difensori degli imputati. Il presidente del collegio Paolo Lepri ha fissato udienze fino a Pasqua dell’anno prossimo. Per la sentenza ci vorrà quindi ancora un anno.

L’ultima delle quasi seimila pagine di un documento molto tecnico è però balzata subito agli occhi dei legali che in aula stamani hanno scorso rapidamente la versione cartacea. Contiene una metafora, raccontata come fosse una favola, dove il ponte Morandi viene paragonato a una scala a pioli di legno. Quando un operaio della ditta che utilizza sente il gradino più basso scricchiolare perché colpito dai tarli il datore di lavoro interviene con un rinforzo (come avvenne per gli stralli della pila 11 del ponte con i lavori degli anni Novanta) e lo mette così in sicurezza. Poi si accorgono che quello sopra scricchiola un po’ meno e il datore di lavoro fa mettere un “rinforzino” (quello che venne fatto sullo strallo della pila 10). Quello ancora sopra (che simbolegge la pila 9, quella crollata il 14 agosto 2018) sembra non aver segni di tarli. Lì non si interviene perché si interpella una “Maga”(che indica le prove riflettometriche, giudicate dall’accusa e da molti testi poco affidabili) che dice che non ha problemi. Invece poi un operaio ci mette il piede sopra e si fa male perché – si scopre solo dopo – anche quel piolo era mangiato dai tarli. La memoria si chiude con una domanda, certamente retorica per l’accusa. “E’ innocente il datore di lavoro? O doveva forse comprare una scala nuova?”.

Per gli avvocati degli imputati la metafora semplifica molto un tema molto complesso come dimostrano i tre anni e mezzo di dibattimento. “E’ una banalizzazione” tuona l’avvocato Francesco Del Deo, esplicitando un sentire comune tra i difensori. Il documento nel suo complesso rappresenta l’ossatura della requisitoria finale dei pm in cui verranno chieste le condanne per gli imputati che ancora non si conoscono.

Oggi intanto si è appreso in aula che uno di loro, Massimiliano Giacobbi (ex responsabile divisione esercizio e nuove attività Spea) è deceduto a soli 54 anni per un male incurabile. Lo ha fatto sapere al collegio il suo avvocato, Massimo Ceresa Gastaldi. La sua posizione è stata quindi stralciata.

Intanto i 5 imputati che sono da qualche settimana in carcere perché condannati in via definitiva per la strage di Avellino (tra loro l’ex numero uno di Aspi Giovanni Castellucci) hanno fatto sapere tramite i loro avvocato che vogliono partecipare – come è loro diritto al processo – ma non saranno “tradotti” dalle carceri sparse per l’Italia dove si trovano reclusi, bensì dalla prossima udienza potranno partecipare al processo in videocollegamento.




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