Liguria

Ponte Morandi, l’avvocato dei famigliari delle vittime riporta in aula il dolore e chiede ai giudici “un passaggio di verità per poter dire: mai più”

Genova. Oggi con le conclusioni dell’avvocato Raffaele Caruso, che assiste le famiglie Possetti e Bellasio e il Comitato ricordo vittime del Ponte Morandi, il dolore è entrato, forse in modo così dirompente come non era accaduto mai in tre anni di un dibattimento estremamente tecnico, nella tensostruttura dove si celebra il processo per il crollo del viadotto .

Caruso ha cominciato la discussione con una poesia, il Pianto antico di Josué Carducci, per raffigurare il dolore “indicibile”, quello di un padre che ha perso i suoi figli e che racchiude in sé tutti gli altri dolori, quelli dei famigliari delle vittime che oggi in tanti sono tornati a Genova per ascoltare le sue parole. Per chiudere il cerchio, in attesa della sentenza.

famigliari vittime ponte morandi

Alcuni dei famigliari delle vittime del crollo oggi in aula

L’avvocato Caruso: “Il dolore ha diritto a entrare nel processo”

“Il dolore ha diritto a entrare dentro il processo – ha esordito l’avvocato del comitato –  è giusto che lo abbia. Nel rispetto della sua dinamica e nel rispetto delle sue regole. La sensazione  è che il dibattimento abbia chiarito che c’è una responsabilità diffusa, una responsabilità – magari solo generica – che siamo già in grado di attribuire intuitivamente alla Società Autostrade che aveva in carico il Ponte e sarebbe amaro che di fronte a questo senso di responsabilità diffusa non si arrivasse ad una affermazione di responsabilità verso le persone fisiche”.

Non si tratta di populismo, però, sottolinea Caruso: “Non siamo qui a dire che secondo noi la gente là fuori si aspetta condanne allora è giusto arrivare a condanne. No, nel modo più assoluto. Se avessimo voluto fare questo saremmo stati al di fuori del processo.

Caruso poi è entrato nel vivo della discussione e ha ricostruito pezzo pezzo la storia del ponte e della tragedia che poteva essere evitata entrando nel dettaglio delle responsabilità. Un lungo racconto, tecnico questa volta (che chiude il lungo lavoro di questi anni svolto a supporto della Procura, insieme all’ingegner Rugarli, alla collega Graziella Delfino e allo stesso Comitato), che è rivolto ai giudici ma anche ai famigliari delle vittime che – con poche eccezioni – non hanno potuto assistenze a tre anni di udienze.

“Tutti sapevano ma nessuno ha denunciato”

Tra i ragionamenti del legale nel ricostruire la catena delle responsabilità che non riguarda solo i vertici ma anche i dipendenti e di lavoratori di livello medio basso, uno dei più significativi riguarda la cooperazione colposa, “sui cui la Cassazione è chiarissima – ha sottolineato Caruso – nel momento in cui mi trovo a cooperare con un soggetto che sta violando le norme e che è in palese colpa, io ed io percepisco, io sto lavorando con lui e lui sta violando quelle norme, che sono norme, che sono a presidio di un bene come la sicurezza, l’incolumità pubblica che riguarda la vita delle persone, io ho davanti un’alternativa, denunciare o diventare cooperante”. E nessuno tra i 56 imputati ha denunciato perché “ha mancato di coraggio”.

“Sciatteria e superficialità: così gli imputati hanno trasformato il lavoro in privilegio”

Ma Caruso va anche oltre. Cita la Costituzione italiana che fonda la Repubblica proprio sul lavoro “perché il lavoro deve essere il criterio di misura della costruzione del Paese”. E invece “nella nostra storia, senza tensione etica, il lavoro che nasce come strumento di uguaglianza in antitesi con il privilegio, diventa privilegio”. E come si misura il privilegio? “Nei livelli più bassi della catena gerarchica di questa storia, si misura in quella svogliatezza inaccettabile, in quella sciatteria nel lavoro che è opposta al principio della cura, del prendersi carico. Ma il privilegio nella sua manifestazione più evidente, noi lo troviamo nei livelli elevati della catena gerarchica, laddove senza quell’implicazione soggettiva, senza quella piena assunzione di responsabilità e quella piena consapevolezza di partecipare alla costruzione del Paese, non solo nel conseguimento di utili che sono sacrosanti, ma che non possono diventare il fine ultimo che si mangia la ragione stessa della dimensione d’impresa e della dimensione d’industria, che in questo caso è la sicurezza”. E così “quegli stipendi importanti diventano mero privilegio, che è esattamente l’opposto di quello su cui noi abbiamo costruito, su cui i nostri padri hanno costruito il nostro Paese”.

Il legale, nelle sue conclusioni ha sorvolato “come un drone che pur senza mettere a fuoco tutti i dettagli li ricomprende tutti” sulla ricostruzione della Procura e ha puntato il flash su alcune questioni tecniche, a partire proprio dalla costruzione del ponte, della sua unicità de da quella “condizione di malattia” del viadotto Polcevera, vale a dire il difetto di costruzione di cui tutti sapevano grazie anche agli allarmi lanciati dallo stesso progettista e da altri nel corso della vita del ponte, ma mai raccolti.

Caruso: “Ora un passaggio di verità per poter dire: Mai più”

Poi ha tirato le fila, in conclusione sul quadro appena tracciato, di quella che è a suo avviso una “tragedia del profitto” di una “tragedia dell’incuria” ma anche di un “tradimento del lavoro”, svolto con “svogliatezza, sciatteria e superficialità”, che in termini giuridici va tradotto con negligenza, uno dei presupposti del reato di omicidio colposo.

Ma adesso, ha concluso Caruso, c’è la possibilità, grazie alla sentenza di questo processo, di poter “pensare di rovesciare il quadro”, operazione che può partire solo da un “passaggio di verità” che spetta ai giudici perché solo “ricostruire il passato” consente di poter “pensare a un futuro diverso” e poter dire – citando un altra poesia, questa volta di Giovanni Pascoli “Mai più”.

Alla fine della discussione, gli abbracci, le lacrime e i ringraziamenti dei parenti delle vittime a chi oggi – ma non solo oggi – ha dato loro voce, in attesa del momento di quel “passaggio di verità”, che arriverà solo tra parecchi mesi.

 




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