Ambiente

Policy di lungo periodo per ridurre il gap tra auto di Usa e Cina e quelle Ue


Come antipasto io prendo un tortino di pasta fillo con funghi, robiola, aceto balsamico. Lui, invece, sceglie una catalana di gamberi. L’amarone è, in effetti, molto buono. La doppia dimensione italiana e tedesca è propria di Nierling. Ottenute la maturità scientifica e la laurea in ingegneria a Catania, si è trasferito nel 1997 in Germania dove ha seguito un corso di perfezionamento di un anno al Fraunhofer Institut di Berlino studiando i sistemi avanzati di produzione, il nocciolo duro concettuale e culturale di Industrie 4.0, cuore della strategia tecno-manifatturiera tedesca privata e pubblica dei 25 anni successivi. Per lui, al primo impiego nella società di componentistica tedesca Bosch, è stato naturale chiedere di essere mandato a Bari. A Bari la Fiat, nel centro ricerche dell’Elasis, aveva sviluppato i brevetti del common rail, la tecnologia di rottura del mercato del diesel che cede nel 1994 appunto alla Bosch, con una scelta poi giudicata da tutti fatale per il gruppo torinese e violentemente lesiva per l’intero automotive italiano: «Uno dei brevetti del common rail è mio. All’università di Bari, ho frequentato un dottorato di ricerca alla facoltà di ingegneria. Lavoravo e non avevo ambizioni di rimanere in accademia. Ho potuto dare il mio contributo alla crescita della tecnologia che è diventata lo standard del mercato mondiale. In una posizione da junior, ho partecipato a una grande costruzione industriale da zero. Quando ha acquisito il brevetto da Fiat, Bosch a Bari aveva venti dipendenti. Sette anni dopo, quando me ne sono andato, eravamo oltre tremila. Era un ambiente molto giovane, che assorbiva anche tecnici e laureati delle università meridionali. Avevo già avuto la fortuna di crescere nella Catania in cui la STMicroelectronics di Pasquale Pistorio era al suo apice. A Bari, partendo da quanto aveva scoperto la Fiat, facevamo una ricerca precisa, puntuale e dirompente che, attraverso la Germania, si diffondeva in tutto il mondo. Non è stata una esperienza banale: esiste una cultura industriale nel Mezzogiorno che ha bisogno di essere alimentata da numeri importanti, da buone università e da investimenti privati significativi. Oggi la crisi nel Sud industriale è intensa. Ma dobbiamo pensare che i livelli ragguardevoli che, per esempio a Bari, ho potuto conoscere io sono stati raggiunti non un secolo fa, ma pochi anni fa: le radici non si inaridiscono in poco tempo. Il Sud può fare molto».

Come piatto principale Nierling prende una tartare di filetto con sedano, rosso d’uovo, cipolline, acciughe, tabasco e cognac. Io, invece, vado su un filetto al forno cucinato con funghi porcini e accompagnato dalla purea. Nierling ha un punto di vista insieme specialistico e generale. Il lavoro compiuto nelle aziende della manifattura italiana più avanzata, interessate ad applicare il metodo-Porsche, e l’appartenenza al sistema industriale tedesco, oggi segnato da una rimodulazione drastica ma sempre centrale per gli equilibri europei, gli hanno consentito di conferire all’occhio un campo visivo ampio: «L’automobile mantiene una forza trasversale potentissima. Adesso l’auto internazionale è segnata da un nuovo doppio paradigma, che per la prima volta non ha una origine specificatamente europea: l’elettrificazione come nuovo mainstream e la digitalizzazione estrema come nuova forma di esperienza della guida. Sull’elettrificazione la leadership è cinese. Il ritardo europeo è consistente. E, allo stesso tempo, gli impegni finanziari presi dalle case automobilistiche rispetto al traguardo del 2035 come anno entro cui cessare la produzione endotermica, sono così cogenti da avere determinato le strategie di un intero settore. Per questo, oltre a mitigare gli obblighi regolatori, ha un senso aprire una discussione pubblica sulla possibilità che ci siano fusioni e aggregazioni fra le case automobilistiche europee».

Oggi in tanti hanno paura a discuterne. Dice Nierling: «La sovraccapacità europea non è sostenibile. E va gestita con razionalità. Anche perché, mentre in Europa è complicato pensare di fondere marchi storici o di gestire la chiusura di impianti inefficienti nonostante l’ampio ombrello del welfare, in Cina è in corso una selezione darwiniana dei gruppi. In Cina hanno aperto molte aziende nell’auto. Ma, con la stessa rapidità, hanno chiuso quelle che non trovano riscontro nel mercato interno o sul mercato internazionale». Oltre al tema poco discusso in Occidente sulla selezione cruenta in corso in Cina – in Europa si preferisce avere una visione statica del comunismo pianificatore di Pechino – un altro argomento che nel Vecchio Continente viene poco citato è quello della digitalizzazione dell’auto. Nota Nierling: «Sulla digitalizzazione il discorso pubblico va affrontato. Il gap fra le automobili americane, in particolare la Tesla, e le auto cinesi di nuova concezione, come la BYD, da un lato e i marchi storici europei, dall’altro, è significativo. Su questo punto occorre costruire policy pubbliche nazionali ed europee di lungo periodo. L’esperienza digitale europea, quando si sale su una automobile di mass market, resta di vecchio stampo. Non è paragonabile a quella provata su macchine a basso e a medio costo di nuova concezione, in particolare elettriche e ibride».

Come dolce prendiamo della crema mascarpone con la sbrisolona e, poi, un gelato alla crema classica affogato nel Braulio. L’amarone mostra tutta la sua versatilità, perché alla fine va bene perfino con il dolce. Per colmare queste distanze, bisogna operare sulla struttura scientifica e tecnologica europea. E va ammesso che la specializzazione produttiva sul medium tech non basta più a garantire all’Europa benessere e prosperità. «Gli investimenti in intelligenza artificiale e in quantum computing che ha indicato Mario Draghi nel suo rapporto vanno realizzati. La specializzazione europea nel medium tech è importante. Ma oggi non è più sufficiente. Le frontiere tecnologiche sono in Nord America e in Asia. Soltanto incrementando la componente innovativa europea generale sarà possibile che le case automobilistiche europee assorbano nuova innovazione, la immettano nei loro prodotti e la trasferiscano in altri settori», conclude Nierling.

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