Pnrr, altro che “spendiamo tutto”: l’anno scorso il ministero di Salvini ha usato solo 1,3 miliardi su 40. Al palo Calderone e Santanchè
Solo il 3,3% del totale. È la performance messa a segno dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti di Matteo Salvini, a pari merito con quello della Salute (Orazio Schillaci) e dietro quello del Lavoro (Marina Elvira Calderone) e del Turismo (Daniela Santanchè) fermi intorno all’1%: nel 2023, primo anno pieno di governo Meloni, le loro amministrazioni sono quelle che hanno speso di meno rispetto alla dotazione finanziaria cui hanno diritto a valere sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il dato emerge dalle tabelle della quarta relazione sull’attuazione del Piano, che l’esecutivo invierà nei prossimi giorni alle Camere. Difficile per il leader della Lega, in difficoltà nei sondaggi, presentarsi come “uomo del fare” a fronte di soli 1,3 miliardi di spesa sostenuta a fronte di quasi 40 assegnati al suo dicastero, di gran lunga il primo per risorse da impiegare entro il 2026.
L’imbarazzo è inevitabile per chi si è intestato la missione di resuscitare la grande opera per eccellenza, il Ponte sullo Stretto. Tanto più che quei risultati fanno a pugni con le passate dichiarazioni del vicepremier sulla necessità di “spendere tutto“, per non dire di quando – 22 aprile 2023 – si è spinto a dichiarare: “Se mi dessero un miliardo in più contro la dispersione idrica, farei partire i cantieri domani mattina”. Ora la relazione firmata da Giorgia Meloni e Raffaele Fitto attesta che gli “Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico”, di sua competenza, sono fermi a 99 milioni su 2 miliardi assegnati.
Certo, ci sono le attenuanti: l’aumento dei costi delle materie prime, che ha ritardato l’assegnazione degli appalti, e dalle responsabilità dei soggetti attuatori Anas e Rfi, con la società delle infrastrutture stradali che risulta aver utilizzato zero euro su 17 miliardi di budget e quella della rete ferroviaria 5,3 miliardi su 22,8. Per l’Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria, per dire, sono stati usati 10 milioni su 10,8 miliardi assegnati, per la Palermo-Catania siamo a 85 milioni su 799 e il potenziamento del collegamento Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia ha assorbito solo 14 milioni su 414. Ma nel biennio 2021-2022, con problemi simili, lo stesso ministero aveva macinato 4,7 miliardi di spesa. E il rallentamento ha pesato nel determinare i pesanti ritardi registrati dal governo di destra nell’uso dei fondi già ricevuti dalla Ue: al 31 dicembre 2023 ammontavano a quasi 102 miliardi, solo 45,6 sono stati spesi di cui 24,4 nel biennio precedente, quando – fino a ottobre 2022 – a Chigi c’era Mario Draghi.
Gli altri grandi “ritardatari” sono Calderone, sono soli 59 milioni spesi nel 2023 su 7,2 miliardi a disposizione che tra l’altro saliranno a 8,4 dopo la revisione del piano, Santanché con 24 milioni su 2,4 miliardi disponibili, e Schillaci con 511 milioni spesi nel 2023 su 15,6 miliardi di dotazione. Male anche il ministero della cultura di Gennaro Sangiuliano che ha speso 148 milioni su 4,2 miliardi e quello degli Esteri di Antonio Tajani con 64 milioni usati l’anno scorso su una dotazione di 1,2 miliardi. Indietro, poi, tutti i dipartimenti della presidenza del Consiglio: quello per Pari opportunità e famiglia, in teoria una priorità della premier, è del tutto al palo con la miseria di 100mila euro spesi nel 2023 su 10 milioni disponibili. Quello per le Politiche di coesione, in capo a Fitto, è fermo a 26 milioni totali – 12 spesi nel 2023 – su 1,3 miliardi di dotazione.
Corrono, in controtendenza, il ministero delle Imprese e del made in Italy di Adolfo Urso, con 7,2 miliardi spesi nel 2023 (13,7 sommando anche il 2021-2022) su 19,6 che saliranno a 28,8 post revisione, e quello dell’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin, con 5,2 miliardi usati nel 2023 (14 complessivi) su 34,6. Ma i due titolari non hanno alcun merito: ad avvantaggiarli è stato il meccanismo di erogazione dei crediti di imposta – rispettivamente quelli di Transizione 4.0 per le aziende e di ecobonus e Superbonus per le famiglie – che corre in automatico, senza che l’amministrazione debba mettere in campo particolari sforzi.
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