Società

Pietro Parolin, il cardinale che voleva parlare del Paradiso

La carriera diplomatica vaticana lo ha portato ad essere conosciuto al grande pubblico come un frequentatore elegante e discreto di ambasciate, di palazzi antichi e nobiliari, di istituzioni benefiche popolate da teste coronate come da grandi leader mondiali pronti a staccare assegni. La sua severa formazione alla Pontificia Accademia ecclesiastica, sotto la guida di un decano dei diplomatici come Achille Silvestrini, ha fatto di Pietro Parolin un soldato della diplomazia, sempre pronto a mettere un clergymen in valigia e partire. Verso i palazzi Onu, verso i vertici internazionali, verso i luoghi colpiti dalle più disastrose calamità ogni qual volta la Santa Sede intendesse inviare aiuti alle popolazioni colpite.

Il factotum di Francesco: Segretario di Stato

Una carriera così, forte di una conoscenza profonda delle regole e delle tradizioni curiali, della liturgia come del latino, lo ha reso una figura di riferimento per lo stesso papa Francesco che divenendo Pontefice si è scoperto privo di uomini di fiducia in Curia e ha trovato proprio nell’allora monsignor Pietro Parolin un partner affidabile, leale, pronto al servizio ma non servile.

È arrivata quindi la nomina a segretario di Stato di Sua Santità, il 31 agosto del 2013, un ruolo gravoso specie dopo l’eredità pessima lasciatagli dal predecessore, il cardinale Tarcisio Bertone. Settant’anni compiuti a gennaio, pelle diafana ma tempra robusta, come segretario di Stato ha acquisito sempre maggiore autorevolezza in un ruolo che significa anche confronto continuo con i giornalisti, valanghe di domande e talvolta anche piccoli agguati su tutte le questioni più spinose, dagli scandali degli abusi sessuali a quelli finanziari.

Oltre il diplomatico: il volto umano

È così che il mite, compassato, sempre affabile cardinale Parolin, sempre pronto a rispondere su ogni dossier, un giorno sbottò: «Basta, io voglio parlare del Paradiso!». Un’uscita che lasciò gelati e stupiti i cronisti in un pomeriggio primaverile ma non ancora assolato oltre le mura leonine, quando era stato approcciato a pochi passi dalla residenza di Francesco a Santa Marta. Ma che segnò anche una svolta. Da quel momento in poi, don Pietro, abbandonò sempre più la veste del diplomatico impermeabile a critiche, pressioni, veleni e, incoraggiato anche dal pontificato missionario di Francesco, cominciò a far emergere il suo lato umano. Viene fuori a poco a poco, un Parolin originario di Schiavon, provincia di Vicenza, figlio di una umile e semplice famiglia della piccola borghesia, erede di una tradizione contadina fatta di piccole cose e buoni sentimenti. Un trauma dolorosissimo da bambino come la perdita del padre lo rende fin da subito consapevole della fragilità della vita. Si scopre anche che c’è una madre (scomparsa di recente) cui, nonostante i sempre maggiori impegni che gli venivano affidati in Curia, non mancava mai di andare a fare visita, salendo su un treno direzione Venezia alla prima occasione.

Costruttore di ponti: crisi e mediazioni

Nel 2015 incalzato dai giornalisti sul riconoscimento delle nozze gay in Irlanda, parlò di «sconfitta per l’umanità», ma ha poi ammorbidito le sue posizioni, non mettendo ad esempio in discussione il documento di Francesco Fiducia supplicans sulla benedizione alle coppie dello stesso sesso. Chi lo conosce bene, ricorda il suo scoramento e subito dopo anche il rimboccarsi le maniche in seguito alla stupefacente invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022. Parolin da quel momento si è dato anima e corpo per favorire ponti, missioni, mediazioni. Ha supervisionato lui l’azione umanitaria della Santa Sede per lo scambio dei prigionieri e il ritorno dei bambini ucraini deportati dai russi alle loro famiglie.

Al contempo non ha dimenticato le esigenze di Haiti, nel caos dopo il terremoto, del Congo, della Repubblica Centrafricana, del Sud Sudan, del Medio Oriente, tutti dossier che ha sempre maneggiato in prima persona affidandoli poi di volta in volta ai collaboratori più idonei. Figura chiave anche dell’accordo sulla nomina dei vescovi stipulato con la Cina, ha digerito senza troppi drammi gli strali lanciatigli dalle varie amministrazioni Usa per essere giunto a tale compromesso. L’obiettivo di Parolin, è più grande. Il suo vero motore, ciò che lo anima nel profondo e ne fa un pontiere indefesso, è dare la più ampia agibilità possibile al culto cattolico, confidando nel fatto che il cristiano, ovunque egli sia, in Cina, in Terra Santa, in America, in Asia come in Africa, sia un uomo e una donna di pace e di dialogo e non una semplice etichetta.


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