Società

Piero Chiambretti: «Non ho mai saputo chi fosse mio padre. Ma so chi è stata mia madre: la donna che mi ha lasciato scegliere. Quando ho potuto l’ho fatta licenziare e le ho comprato una casa»

«Non lo faccia diventare il solito pezzo sugli artisti sfigati nella vita e ricompensati nel lavoro, perché non è così. Nella vita mi è andata bene, non perché fossi disgraziato ma perché sono bravo», mi raccomanda Piero Chiambretti a metà della nostra conversazione, quando, dopo aver aperto il cassetto dei ricordi, si è chiuso, forse perché convinto di aver condiviso troppo.

Il Piero Chiambretti pubblico, quello che inventa programmi e formule di successo, che si cala dal soffitto dell’Ariston travestito da angioletto e che ha sempre la risposta pronta lo conoscono tutti (dal 15 maggio conduce il comedy show Donne sull’orlo di una crisi di nervi ogni giovedì su Rai 3). Quello più intimo e privato un po’ meno, anche se ogni tanto qualche spiraglio Chiambretti lo apre, pur convinto che «le persone che parlano più delle tragedie che le hanno colpite che delle cose che fanno o pensano» lascino il tempo che trovano.

Non le piace parlare troppo di sé.
«Mi diverto di più a parlare di televisione e di comunicazione che della mia vita privata. Trovo più interessante parlare, per esempio, del talento, che non ha niente a che fare con la malattia o la morte ma semplicemente con una benedizione, una manna dal cielo che qualcuno ha e qualcun altro no».

Il suo talento?
«Scrivere cose che piacciono a me e che posso interpretare io. Non sono bravo a fare nient’altro».

Da bambino cosa voleva diventare?
«Nonostante all’inizio volessi fare il pompiere, ho sempre immaginato che la mia vita si sarebbe giocata tra una parola, una risata e una battuta, ma mai avrei pensato che potesse diventare un lavoro».

Com’era da bambino?
«Ho avuto un’educazione particolare perché i miei amici erano della più cruda periferia e mia madre, santissima donna, scomparsa a causa del Covid cinque anni fa, era l’unica a gestirmi. Le tate e le nonne non c’erano, quindi era obbligata a mandarmi alle scuole private: studiavo con i più ricchi e mi divertivo con i più poveri. Questa doppia partita Iva mi ha permesso di capire come si sta in società, ma anche come si gioca a pallone con una sfera di carta».

Un ricordo di sua madre?
«Diceva sempre che il biglietto da visita di un uomo sono le scarpe».

Come devono essere?
«Sempre pulite e mai comprate a prezzi troppo bassi perché rovinano il portamento e la schiena. Anche quando ero meno ricco di oggi ci ho sempre tenuto. I dettagli sono importanti».

Lei viene da una famiglia che oggi definiremmo non tradizionale: come indossava quell’etichetta all’epoca?
«Negli anni della mia infanzia il fatto di non essere riconosciuto da un padre è stato un vero e proprio buco nero perché, pur di non chiedere a mia madre come erano andate realmente le cose, spesso mi inventavo un padre che non c’era. Quando i miei amici venivano e trovarmi e mi chiedevano perché in bagno non ci fosse un rasoio inventavo che, dietro allo sgabuzzino, c’era un’altra zona dell’appartamento dedicata alle stanze di mio padre. Non era vero: dietro alla porta c’era solo una scopa».

Piero Chiambretti con Mike Bongiorno e Valeria Marini al Festival di Sanremo nel 1997.

Piero Chiambretti con Mike Bongiorno e Valeria Marini al Festival di Sanremo nel 1997.

Mondadori Portfolio/Getty Images


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