Cultura

Peter Gabriel – i/o :: Le Recensioni di OndaRock

L’attesa per un nuovo album in studio di Peter Gabriel è durata ben ventun anni.
È pur vero che tra “Up” e “i/o”, questo è il titolo del suo nuovo lavoro, l’ex-Genesis non è rimasto con le mani in mano, rilasciando nel corso di questi anni un paio di apprezzabili dischi di cover (“Scratch My Back” e “New Blood“) e un ben più controverso progetto fatto di condivisione e supervisione di lavori proposti da altri artisti (“Big Blue Ball“). Tutto ciò non può ritenersi sufficiente per saziare la smania di fan e addetti ai lavori che attendono sempre con adeguato interesse ogni sua mossa.

Per la sua riapparizione artistica, l’istrionico musicista di Chobham ha utilizzato una modalità di approccio graduale, dilatata nel tempo, preferendo pubblicare i dodici brani – o meglio trentasei e in seguito sarà spiegato il perché – che compongono il suo decimo full length in studio, con tassativa cadenza mensile.
Dopo aver avvisato nel novembre 2022 che tutto era apparecchiato per la distribuzione di una nuova raccolta di inediti, già dal lontano 6 gennaio 2023, con la pubblicazione del primo singolo intitolato “Panopticom“, ecco che il ritorno di Peter Gabriel iniziava ad assumere sembianze tangibili.
Non solo per dovere di cronaca, è però necessario fare un po’ di chiarezza sul particolare metodo utilizzato dall’artista inglese per realizzare e soprattutto diffondere questo ampio progetto.
Ogni brano è presentato con tre diversi missaggi, ognuno elaborato da differenti produttori e ingegneri: il “Bright-Side Mix” curato da Mark “Spike” Stent, soprannominato “il pittore” per la sua spiccata capacità di dare vita ai suoni, quasi tramutandoli in immagini, il “Dark-Side Mix” prodotto da Tchad Blake, appellato “lo scultore”, grazie all’evidente predisposizione per la costruzione di viaggi sonori dall’alto gradiente di drammaticità. Ad essi si è aggiunto il mix “In-Side” elaborato da Hans-Martin Buff, che si è occupato di donare tridimensionalità al materiale in oggetto e, per questo, scelto per la diffusione in Blu-Ray.

Come accennato, la divulgazione dei vari brani è stata schedulata con cadenza mensile e qui viene il bello. Con preciso riferimento al puntuale sorgere della Luna piena, a partire dallo scorso gennaio, ecco giungere, uno per volta, tutti i dodici brani in scaletta. In aggiunta, e star dietro a tutto ciò non è affatto semplice, la scelta di accompagnare ogni brano con un’opera d’arte visiva scelta dallo stesso Gabriel, come già accaduto per i precedenti album “Us” e “Up”, creata da pittori, scultori e artisti contemporanei, quali Ai Weiwei, Olafur Eliasson, Tim Shaw e molti altri.
“i/o” sigla indicatrice del concetto di entrata/uscita, è anche il nome di una luna di Giove, a chiusura perfetta del cerchio incentrato sul concetto espresso in precedenza circa il singolare metodo di distribuzione dei brani.
Al banchetto partecipano alcuni dei suoi storici e meravigliosi compagni di viaggio: Tony Levin, Manu Katché, David Rhodes, John Metcalfe e la New Blood Orchestra, tutti protagonisti che non hanno certo bisogno di presentazioni. In molti episodi è presente anche Brian Eno e ulteriori collaboratori di caratura massima, quali il pianista Tom Cawley, la violoncellista Linnea Olsson, il nostro Paolo Fresu e Josh Spack alla tromba e persino la figlia di Peter, Melanie, che partecipa ai cori insieme a Ríoghnach Connolly, il Soweto Gospel Choir e il connubio svedese Oprhei Drängar.
Insomma, Peter Gabriel anche questa volta non si smentisce. I preparativi sembrano decisamente complessi e strutturati. Sarà così anche per il nocciolo dell’opera, la musica?

“i/o” è un disco decisamente articolato, come nella migliore delle tradizioni, ma all’interno di questo vasto campionario stilistico e di contenuti, l’artista inglese è riuscito a conservare una certa fruibilità d’insieme, una fluidità d’ascolto che nella sua interezza si rivela una carta vincente. I brani hanno avuto tutti una lunghissima gestazione, in alcuni casi partita addirittura da embrioni nati negli anni 90, all’epoca di “Up” o da brogliacci preparati per la colonna sonora di “OVO”, l’omonimo spettacolo allestito all’interno del Millennium Dome di Londra nel 2000. Il disco trasuda da ogni poro di queste reminiscenze storiche che partono dai decenni scorsi, addirittura conservando un certo collegamento anche con le sue opere degli anni 80.
L’aver, poi, distribuito tutti e proprio tutti i brani già prima dell’uscita ufficiale si è rivelata una scelta divisiva, dal momento che, se da un lato l’aver avuto il tempo di assimilare con attenzione le chicche che Gabriel ha scelto di diffondere progressivamente in questo modo ha certamente agevolato l’ingresso nel progetto, accompagnando con puntuali interventi sui social volti a spiegare la genesi e il significato di ogni traccia, dall’altro ha negato quella smania di gustare la sua opera tutta d’un fiato in occasione dell’uscita ufficiale, una situazione che, vista la precisione e la cura con le quali sono stati realizzati i dodici pezzi (o trentasei, vedetela come volete) avrebbe di sicuro giovato. Ma tant’è.

Le tre versioni con le quali sono stati presentati i brani non posseggono considerevoli differenze tra loro, se si eccettua forse l’arrangiamento “In-Side”, nel quale Hans-Martin Buff ha aggiunto alcune sezioni strumentali, ove opportuno, ovviamente con la piena autorizzazione di Gabriel.
La tracklist si muove su diverse direzioni, che chi scrive ripartisce su quattro categorie. Dalla sezione etichettabile come la più oscura ed eterogenea spuntano brani quali “Panopticom”, che tratta l’argomento della condivisione, “The Court”, levigato dalle amate percussioni arabeggianti convocate a condurre temi quali giustizia e potere conferito alle persone. Dallo stesso casato provengono anche “Love Can Heal”, eterea e tenebrosa nel suo incedere, con il violino svolazzante a dipingere un quadro che ricorda la vicenda della parlamentare britannica Jo Cox, assassinata da un estremista a pochi giorni dal referendum sulla Brexit, e “Live And Let Live”, con una buona coesione tra sonorità moderne e arrangiamenti classicheggianti (in questo, la miglior testimonianza all’interno del disco) utilizzata per analizzare il tema del perdono quale medicina per curare il dolore.

Nel percorso s’incontrano passaggi più intimi, dove la riflessione concettuale va a braccetto con le sonorità previste dall’autore.
In brani quali “Playing For Time”, che affronta argomenti come mortalità, ricordi, lo scorrere del tempo, e “So Much” che, quasi sulla stessa linea, analizza quanto sia seducente vivere il proprio presente al massimo, mantenendo però i piedi ben saldi per terra, sono arrangiamenti più cameristici (pianoforte e archi) a far da padrone, con la peculiare vocalità di Gabriel pronta sia a graffiare che a regalare slanci di assoluta drammaticità.
Non mancano richiami al pop, per così dire, più commerciale, un settore nel quale Gabriel è sempre riuscito a primeggiare serbando un altissimo grado di eleganza. A hit quali “Sledgehammer”, “Red Rain”, e prim’ancora “Shock The Monkey”, “Solsbury Hill” e “Games Without Frontiers”, per arrivare fino a “Steam”, ora si accodano, a onor del vero senza raggiungere quei livelli, brani trascinanti, dotati di un ritornello particolarmente azzeccato, come “Olive Tree”, che riflette su temi quali crescita, trasformazione e connessione con il prossimo, e “Road To Joy”, che a discapito di un incalzante aplomb, tratta questioni complesse quali esperienze di pre-morte e situazioni nelle quali le persone non sono in grado di comunicare o muoversi naturalmente.
La summa di tutto ciò è testimoniata da quelle tracce che coinvolgono un po’ tutte queste caratteristiche, che trovano nell’ampiezza armonica e nella varietà costitutiva la propria forza. Ecco che all’interno di canzoni come la title track, “Four Kinds Of Horses”, incentrata su alcune proprietà della dottrina buddista, “And Still”, rivolta ad affrontare perdita e il ricorso alle persone amate non più presenti (nello specifico, la mamma di Gabriel) e “This is Home”, sull’individuare ristoro e rifugio nell’amore, si scorgono in un unicum tutte le fragranze gustate via via tra le singole tracce, richiamando numerosi aspetti dell’artista provenienti da un po’ tutte le sue storiche esperienze professionali e personali.

In conclusione, “i/o” segna l’agognato ritorno al pubblico di un esponente tra i più influenti degli ultimi cinquant’anni e già questo basta a catalogare tale notizia tra le più importanti di questo scorcio di 2023.
Il disco non aggiunge nulla di nuovo al suo repertorio, va detto. Non si toccano le vette assaporate, ad esempio, in “III”, “IV“, ovvero in “So” e probabilmente anche in “Us”, ma ne consolida con grande vigore la posizione di autentico fuoriclasse della materia. “i/o” è un album fresco, conflittuale, magnetico, denso di contenuti e di soluzioni stilistiche, che non risente granché delle manipolazioni e dei rimaneggiamenti perpetrati durante i lunghissimi anni di gestazione.
C’è tanto bisogno di dischi come questo, soprattutto in un periodo storico in cui la corsa al risultato, da raggiungere con ogni mezzo, sembra essere l’unico obiettivo, non solo in ambito musicale. Che se ne parli bene o male non è importante. Ciò che conta è che il vigoroso settantatreenne Peter Gabriel sia tornato e abbia dimostrato, per l’ennesima volta, di avere tante, tantissime cose da dire.

03/12/2023




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