Basilicata

Pessolano, lascia Azione: «Pittella usa modi da bullo della politica»

CHE QUESTO sia un capolinea politico lo si capisce dalla metafora utilizzata da Donato Pessolano, fino a ieri segretario in Basilicata di Azione, il partito di Carlo Calenda, e improvvisamente giubilato in favore dell’asso pigliatutto Marcello Pittella: «Un partito usato come un pullman». Parte da qui, da un’immagine netta e amara, l’addio di Pessolano ad Azione, il movimento che aveva contribuito a fondare in Basilicata e che ora, commissariato su richiesta di chi secondo lui lo ha svuotato e piegato a logiche personali, non rappresenta più la sua idea di politica.

Nell’intervista – rilasciata poche ore prima della sua uscita ufficiale – Pessolano racconta un clima fatto di ricatti, bullismo politico, nomine senza confronto, accuse sottili e silenzi pesanti. Ma anche di una frattura più profonda: quella tra chi, dice, ha provato a costruire un partito “sano” e chi l’ha usato per arrivare altrove. Da Azione viene diffusa una striminzita dichiarazione in cui «la direzione ringrazia il segretario regionale uscente, Donato Pessolano, per l’impegno e la dedizione dimostrati in questi anni, durante i quali il partito ha rafforzato la propria presenza nella regione, costruendo una rete solida e una classe dirigente radicata nelle comunità locali. Azione, anche in Basilicata, si appresta ad affrontare una nuova fase che apre un percorso di apertura, come forza politica innovativa, riformista, liberale e punto di riferimento concreto nel panorama regionale; ed è con questo spirito che affronterà nei territori congressi e riorganizzazioni».

Per Pessolano non si tratta solo di lasciare un simbolo: è un modo per prendere posizione e ripartire. Ma da dove, ancora non lo sa. O forse non lo vuole ancora dire.

Pessolano, la notizia del commissariamento di Azione le è piovuta addosso come una doccia fredda?

«No, sono stato invitato alla direzione nazionale convocata per ieri (avantieri per chi legge, ndr), in cui all’ordine del giorno c’erano provvedimenti su alcuni territori. Alla fine viene commissariata la regione Basilicata perché è stata una richiesta di Marcello Pittella e del consigliere Nicola Morea, diciamo sotto ricatto».

In che senso?

«Hanno ricattato a livello nazionale dicendo che, se non avessero commissariato il partito, avrebbero preso le distanze uscendo proprio dal partito, perché il segretario regionale probabilmente non era in linea rispetto ai loro voleri e alle loro intenzioni».

Quindi lei afferma che è stata una richiesta precisa di Pittella e Morea, e la richiesta Pessolano la definisce un ricatto perché altrimenti se ne sarebbero andati da Azione?

«Ma certamente. Non l’hanno detto chiaramente, ma l’hanno fatto intendere alla segreteria nazionale, alla direzione, anche a me stesso, dicendo che purtroppo le mie posizioni prese ultimamente rispetto alla loro gestione non andavano bene».

Quali erano queste posizioni inconciliabili?

«Beh, la pista Mattei a Pisticci, il comportamento assunto in consiglio dove non veniva fatto nessun confronto con la segreteria regionale, le nomine effettuate, passate direttamente dal volere di Pittella senza confrontarsi con la segreteria regionale, tutte le nomine sia di parenti che di amici stretti effettuate da Pittella. Lui ha utilizzato il metodo del bullismo politico dove ha cercato di utilizzare i suoi voti, che poi sono voti dei lucani, per andare contro una persona seria come me che fa politica per il bene della Basilicata, non la sfrutta per gli scopi personali ma lavora da circa dieci anni per la regione. Diciamo che dal 2019 ho fondato un partito da zero e c’è chi ha utilizzato il partito come pullman per arrivare alla destinazione finale che era quella della Regione».

Quindi Pessolano rivendica anche di essere stato un dirigente di Azione in Basilicata dai suoi albori?

«Io sono stato il fondatore in Basilicata, a differenza di tutti gli altri che sono venuti dopo».

Secondo lei dietro queste prese di posizione, per esempio la pista Mattei che alla fine è una questione su cui ci si può confrontare, c’è un disegno già immaginato da tempo?

«A Pittella serviva un partito perché ha fatto a me quello che a lui hanno fatto ad agosto del 2022, io ho dato il mio posto al Senato perché sono andato dal notaio a ritirare la mia candidatura per farlo entrare in Azione, per farlo stare in un partito sano, dove poi alla fine lui è stato un caterpillar in una vetrina di cristallo. Ha cercato di asfaltare tutto perché giustamente aveva bisogno del partito dove poter gestire le proprie cose, le nomine e tutto quanto».

Da quanto tempo lei si era accorto della situazione che descrive?

«Dall’elezione regionale, dove io ho dato la mia disponibilità in lista perché sapevo di non essere eletto, ma l’ho data perché volevo fare bene il mio partito, ho cercato di dare il mio contributo. Però dal giorno dopo l’elezione i due consiglieri sono spariti completamente, non si sono confrontati con il partito, non hanno mai chiesto un confronto sui temi e sulle nomine da effettuare e hanno lavorato per conto loro. Mi sono accorto di un metodo che non era il mio e ho cercato di dare loro tempo perché si accorgessero che le cose andavano in un verso sbagliato».

Se non ci fosse stato il commissariamento di Azione, Pessolano avrebbe lasciato il partito lo stesso?

«Sicuramente sì, perché un tipo di politica del genere non coincide con il mio modo di fare, con la mia persona, con i temi che io voglio toccare, con il metodo di aggregazione per i giovani. Tante persone sono andate via perché proprio il metodo non l’accettavano più. Oggi ci troviamo in questo stato: il partito non ha correnti, ha solamente un uomo che vuole comandare su tutto, vuole fare le nomine ed è sbagliato. Ha sbagliato anche il livello nazionale perché il commissariamento è privo di motivazioni, è privo di discussione sia a livello nazionale che locale e poi oltretutto si nomina come commissario un lucano, lo stesso che ha chiesto il commissariamento per scopi personali».

Parlava degli errori a livello nazionale.

«Carlo Calenda e tutta la segreteria nazionale hanno commesso un autogol, perché un partito non commissaria una regione che ha portato il miglior risultato in Italia, l’8%. Purtroppo hanno messo sulla bilancia i voti di chi ne aveva di più oppure aveva più interessi, quindi il ricatto è stato chiaro e io lo subisco come uomo ma come politico no».

Perché?

«Perché continuerò la mia carriera politica in altro luogo, in altro modo, però lo farò».

Ha già idea della sua destinazione politica?

«No, assolutamente no, mi prenderò una pausa di riflessione, cercherò di richiamare tutti i miei amici in Basilicata che mi hanno dato una mano, che sono stati vicino a me in tutto questo tempo e con loro deciderò».

Della sua lettura politica lei ha parlato con gli altri organismi qui in Basilicata, cioè c’è stato un confronto su questo? Non si è creata una sponda nei suoi confronti?

«No, assolutamente, c’è stata una segreteria che ho convocato. Da Pittella c’è stata una proposta per dire che io avrei dovuto fare scelte diverse e io ho detto a lui di convocare di nuovo la segreteria per dare le mie risposte, invece mi sono trovato con una direzione nazionale convocata e richiesta da lui per gestire il commissariamento della Basilicata. Non c’è stato nemmeno un confronto negli organi competenti a livello regionale perché il nazionale non l’ha proprio voluto. Ha subito il ricatto di Pittella».

Perché secondo lei quello che lei chiama “ricatto” aveva una tale forza da piegare anche i vertici nazionali? Perché un politico navigato come Calenda può subire un ricatto di questo tipo? Cosa sarebbe accaduto se veramente Pittella e Morea se ne fossero usciti?

«Beh, se escono due consiglieri regionali… già ne abbiamo pochi a livello nazionale, se poi se ne escono due di cui un presidente del consiglio che a livello europeo ha preso più voti di Calenda, come ha detto Pittella…. Lui dice: io ho preso più voti di Calenda a livello nazionale ed europeo, quindi io nel partito comando».

Quand’è che Pittella ha detto questo?

«Eh, vabbè, ma l’ha detto non a me, l’ha detto a tante persone, l’ha detto in più situazioni, non a me direttamente».

Secondo Pessolano se non ci fosse stato il commissariamento di Azione, se ne sarebbero andati davvero, Pittella e Morea?

«Non so, perché bisogna capire come cambia la legge elettorale, chi li ospita, dove vanno. Alla fine, conoscendo Pittella, gli altri partiti lo farebbero entrare? Con il senno di poi nemmeno io l’avrei fatto entrare, purtroppo si sbaglia nella vita».

Lei ha già manifestato la sua intenzione di uscire, cioè ha già formalizzato questa sua intenzione?

«Lo farò stasera (ieri sera per i lettori, ndr) dopo quest’intervista».

Di tutta questa vicenda si potrebbe dire: visto che lei se n’era accorto da tempo, aveva consapevolezza del fatto di avere nel partito queste due persone che non remavano nella sua direzione, perché non ha detto qualcosa di più forte prima?

«Eh, beh, gli ho dato il tempo per capire che cosa fare, per cercare di capirli, anche qual era il loro metodo. Però quando l’ho fatto, cioè negli ultimi due miei interventi su comunicato stampa, loro hanno avuto da ridire sul mio comportamento, affermando che un segretario non dovrebbe prendere posizione. Gli ho fatto capire che il segretario di un partito fa il segretario di un partito, i consiglieri devono fare i consiglieri, cioè l’istituzionale. Purtroppo per loro non va bene, perché loro vogliono fare tutto, vogliono fare partito, ruolo istituzionale, ruoli professionali, ruoli di formazione che sono non pagati mentre la formazione come imprenditore io me la pago. Quindi sono soggetti che vogliono tutto in tutti i modi».

Il partito Azione sembra un camaleonte, cambia colore della pelle a seconda dell’ambiente in cui si trova meglio, si può adattare indifferentemente al centrodestra e al centrosinistra: Pessolano questa cosa l’avverte?

«Devo dire la verità, un po’ ci è mancata una linea politica chiara, quindi abbiamo dovuto buttarci da una parte all’altra in base a quelli che erano anche i temi a livello nazionale e a livello regionale. Diciamo che a livello regionale ho cercato di fare la scelta più ovvia, ossia contestualizzare il nostro ruolo in quel momento. Scelta secondo me non sbagliata, se non fosse per alcuni atteggiamenti che hanno fatto scendere di credibilità Azione, perché poi sono i comportamenti degli uomini e le loro scelte che fanno perdere di credibilità. Azione come partito nuovo ha subito un po’ l’evoluzione dei temi, a livello nazionale e a livello locale. Ma per come era nato, per come era stato concepito, aveva veramente un contesto dove tanti giovani e imprenditori si potevano avvicinare. Oggi purtroppo non lo è più».

Lei ha visto scendere l’adesione al partito in termini di dati, cioè di tessere, e in termini di partecipazione effettiva agli incontri?

«Prima dell’ingresso di Pittella erano tutte persone nuove, si può vedere dai post di Facebook, e le tessere erano circa 500, tutte online, con documenti e carta di credito. Dopodiché c’è stato un fuggi fuggi di tante persone che si erano avvicinate ad Azione come novità che cambiasse un po’ la politica. Oggi siamo secondo me in un partito gonfiato con circa 980 tessere, però sono pacchetti-tessera che arrivano dai paesi senza fondamento, non è mai stato fatto un controllo reale. Io lo facevo persona per persona. Dopodiché Pittella ha dato un metodo nuovo, che era quello del tesseramento a pacchetti. Ci troviamo con persone che si trovano ad aver votato semmai un congresso nazionale, ma in realtà non l’hanno neanche fatto».

Rispetto a sinistra, destra e centro lei dove si colloca?

«Io mi sono sentito sempre di centro, nonostante provenga dal Partito Democratico, in cui ho creduto e credo. Ho creduto sempre nel partito in cui ci sono le correnti, si discute, si prende una decisione, lasciando perdere gli errori che sono stati fatti. Poi ho fatto una scelta, quella più coraggiosa, di lavorare per un partito nuovo, un partito che non esisteva. Mi sento di centro perché da imprenditore credo che le cose vanno sempre discusse in maniera adeguata, più ponderata, senza prendere decisioni più di destra o di sinistra. Bisogna sempre più pensare ai cittadini, ai lucani, non all’estremismo che poi alla fine porta solo voti, ma non realizzazione di progetti e sviluppo per la regione».

A cosa si riferisce in particolare?

«Penso ai tanti giovani che sono mortificati perché vedono professionisti a livello nazionale o internazionale, che fuori lavorano e hanno anche collocazioni di merito professionale, invece in Basilicata non sono stati neanche invitati a fare delle scelte, sono stati abbandonati e oggi noi nominiamo tante persone che semmai non se lo meritano di stare lì. Questo è un impoverimento della Basilicata a tutti i livelli».

Secondo Pessolano l’attività dei due consiglieri di Azione non ha portato nulla di concreto da questo punto di vista?

«No, assolutamente no, non c’è stata nessuna proposta, perché Azione da quando è nata non faceva solamente proclami, anzi cercava sempre di fare proposte. Poi si è sviluppato un tipo di politica che è solo quella di slogan da voti e basta».

Quando le è stato comunicato il commissariamento, lei ha dichiarato qualcosa a caldo?

«No, non ho detto nulla perché non c’era la possibilità di dire nulla. Il commissariamento è stato effettuato con una dichiarazione del segretario nazionale, senza dire le motivazioni, senza un confronto a livello nazionale in direzione. La direzione ha dovuto subire una scelta e basta. Non si conosceva ieri nemmeno il commissario, io l’ho appreso stamattina (ieri mattina per chi legge, ndr) da un comunicato stampa, anche redatto malissimo, perché non è da Azione: quattro righe che non danno motivazioni valide. Purtroppo è stato avviato un metodo di bullismo politico per far pagare a qualcuno il non allineamento alla politica che qualcuno vuole».

Lei ha dovuto leggerlo stamattina, ma se lo aspettava chi sarebbe stato il commissario?

«Io non avrei mai scelto un commissario lucano o Pittella, è la persona meno adatta. Significa che un commissariamento viene gestito da lui e metterà le persone che vuole lui, facendo i congressi farlocchi. E che partito è? Il partito della persona, non è più un partito».

Quindi lei pensava che nonostante la decisione sbagliata avrebbero scelto una persona diversa per questo ruolo?

«Certo, lui non è adeguato perché ha troppi interessi personali, non può essere il commissario».


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