Perché Lucio Corsi riesce a farci credere che vivere la vita sia (davvero) un gioco da ragazzi
Scene (solo) dall’ultima settimana: Lucio Corsi è salito sul palco del Concertone del primo maggio e tutta – e ripetiamo tutta – la piazza ha cantato in coro Volevo essere un duro. Pochi giorni prima l’Alcatraz di Milano, completamente sold out, è impazzito per il suo spettacolo. E la stessa scena si ripeterà domenica 4 maggio, con il concerto che chiude il suo tour post-Sanremo. Sui social, intanto, c’è chi lo paragona al cardinale Zuppi nel toto-conclave. Perché entrambi sono fuori dai vecchi schemi, icone gentili in tempi troppi complicati. E, tra poco più di una settimana, Corsi rappresenterà l’Italia all’Eurovision di Basilea ed è già ovunque Lucio-mania.
Non ci sono dubbi: Lucio Corsi è il personaggio del momento e questo dice tanto di lui, ma anche di noi. Perché il cantautore, classe 1993, nato a Grosseto, diplomato al liceo scientifico, famiglia di cowboy maremmani, non è cambiato dalla prima volta in cui 10 anni fa ha tenuto la chitarra in mano a una fiera. Siamo noi a esserci innamorati di lui, del suo talento, delle sue patatine cucite dentro un abito, di Topo Gigio e della sua capacità di portarci in un altro luogo. Perché se il nostro mondo non è proprio il massimo, il suo è di sicuro più bello.
Lucio non parla di politica o di attualità, né della sua vita privata, Lucio canta le sue canzoni e si lancia sul pubblico. E a furia di osservarlo, forse, riesce a convincerci che davvero «vivere la vita è un gioco da ragazzi».
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