Ambiente

Perché l’Europa deve cercare un nuovo assetto globale con il resto del mondo

Non sono ancora del tutto definiti i termini del cosiddetto accordo Usa-Ue sui dazi e sulle altre clausole (investimenti europei negli Stati Uniti e acquisti energetici) delle quali, peraltro, la Commissione non può garantire il rispetto per mancanza di competenza. Peraltro, questo accordo, che sarebbe molto meglio definire come accettazione di una imposizione da parte di una leadership europea in dissolvimento, deve essere ratificato dai governi europei e dal parlamento europeo.

E’ ancora di difficile valutazione l’entità effettiva del danno causato, all’economia e alla rilevanza politica dell’Europa, dalla genuflessione in terra di Scozia dove, in una proprietà di Trump, si è simbolicamente svolto l’incontro per la sigla dell’accordo con cui si è accettato l’aumento dei dazi generalizzato al 15% con rilevanti eccezioni in aumento. Per ciò che riguarda il danno economico, sarà rilevante la direzione del riaggiustamento complessivo dei flussi degli scambi commerciali a livello mondiale, e delle catene globali del valore che li sostengono. Riaggiustamento che deriverà dall’imposizione di dazi generalizzata, ma in misura molto differenziata, da parte degli Stati Uniti a tutti i suoi partner commerciali. Questi riaggiustamenti avranno anche inevitabili ripercussioni geopolitiche.

Ma il tema di fondo in discussione per giudicare il comportamento dei negoziatori europei è il seguente: è vero che la “genuflessione” è servita a evitare danni peggiori in termini di possibile imposizione di dazi ancora più pesanti? E’ una tesi che non regge se non prendendo per buone minacce che appaiono sempre di più come la tecnica negoziale del presidente Trump. Il perché ce lo ricorda il professor Scandizzo nel suo articolo su Formiche (venerdì 8 agosto).

Secondo la teoria economica delle tariffe ottimali, un Paese con forte potere di mercato e che non teme rappresaglie fissa dazi all’importazione in modo da massimizzare i ricavi, che dipendono essenzialmente dall’elasticità delle esportazioni verso il proprio Paese al mutare delle ragioni di scambio, cioè del rapporto tra prezzi all’importazione, al lordo delle tariffe, e prezzi all’esportazione.

Ebbene, il 15% di dazi medi sulle importazioni di beni dall’Europa è probabilmente per gli Stati Uniti il livello ottimale, cioè il più conveniente per gli Stati Uniti. In altri termini, il 30 o 50% minacciati non sarebbero più convenienti, perché il crollo delle importazioni più che compenserebbe il dazio più elevato. Oltre a dover considerare l’effetto sull’inflazione interna. Sono queste stime, oltre che considerazioni geopolitiche, che probabilmente guidano tutti i negoziati americani con i vari Paesi partner commerciali.


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